venerdì 11 ottobre 2019

"Troy" (2004)

 "Troy" (2019), in Italia codardamente intitolato "Troy", invece che adattarlo per esempio come "Gli ultimi giorni di Ilio" (altro nome di Troia, dal quale arriva il titolo del poema epico "Iliade"), è una liberissima reinterpretazione del corpus narrativo che tratta le vicende relative alla guerra di Troia, dal rapimento della spartana Elena all'assedio di Troia, fino alla presa e distruzione della città da parte degli Achei (qui ridefiniti greci). Diretto da Wolfgang Petersen e sceneggiato da David Benioff.


 Il poema "Iliade" copre solo una parte della vicenda bellica in questione (dall'ira di Achille nel bel mezzo della guerra, fino ai funerali di Ettore), e il resto del "Ciclo Troiano" è andato perduto, per cui gli autori del film hanno attinto a testimonianze posteriori come il poema "Eneide" di Virgilio e le "Postomeriche" di Quinto Smirneo per costruire l'arco narrativo completo della vicenda, sfrondandolo però di tutto ciò che non faceva loro comodo.
 E qui si arriva al dilemma, e cioè la scelta dell'ottica con cui valutare questa opera (un po' troppo di cassetta?).
 Nell'ottica degli appassionati di mitologia, letteratura e storia, il film si prende una quantità smodata di libertà che ammazza completamente la materia che affronta, allo scopo di edulcorarla, fare cassetta e assecondare il gusto di un pubblico evidentemente abituato a essere rassicurato e consolato con storielle compiacenti rivestite di una esile patina di progressismo illuminato alla moda.
 Si potrebbe andare avanti all'infinito con l'elenco dei tradimenti, per i quali rimandiamo alla pagina della Wikipedia (o alle note in coda alla recensione).

 In quest'ottica, però, si salva la fastosità delle scenografie e ambientazioni di templi e palazzi e città fortificate, che per quanto storicamente discutibili, sfoggiano un'opulenza, una cura e una evocativa grandiosità che non può che deliziare i cultori del mito greco che hanno sempre lavorato di fantasia per ricostruire scenari basati sulle più celebri e maestose architetture della Grecia classica.
 Lo stesso vale per i paesaggi naturali, le navi, le tende in cui dimorano i re, le cesellate armature dei soldati e dei nobili, gli accampamenti, le vesti, gli arredi e, naturalmente, le colossali battaglie in cui si scontrano centinaia di guerrieri.
 E ancora, la scelta degli attori: in una produzione così sfarzosa, solo interpreti di lusso come Brad Pitt, Eric Bana, Orlando Bloom, Diane Kruger e Peter O'Toole potevano adeguatamente incarnare la bellissima Elena, il buono e giusto Priamo, il biondo Achille (come dice chiaro e tondo il testo dell'Iliade), il cavalleresco Ettore, l'irresponsabile Paride, l'astuto Ulisse, la sconsolata e tragica Andromaca. Interepreti di lusso come  D'altra parte, si tratta di una produzione colossal, nel filone inaugurato dal sontuoso "Il signore degli anelli", e la qualità della fattura è garantita dalla quantità di denaro profusa per regia, recitazione, colonna sonora ed effetti speciali.

 Passando invece alla prospettiva del cultore della narrazione epica di natura storico-fantastica, che non si sente vincolato dalle fonti letterarie, il film sicuramente spicca per l'ambiziosità della titanica battaglia tra l'esercito sterminato e la città imprendibile, nonchè per la forte enfasi sulla caratterizzazione epica dei personaggi, con i due condottieri carismatici (Achille ed Ettore) dei rispettivi schieramenti connotati con una apparente simmetria delle personalità dei loro re e soprattutto in modo da sembrare agli antipodi, per poi scoprirsi "fratelli" di fronte alla morte.
 Da un lato, il feroce e spietato Achille sembra proprio il degno rappresentante in campo del cinico Agamennone e del violento Menelao, mentre dall'altro lato, il nobile e giusto Ettore è degno figlio di un re saggio e buono come Priamo.
 Ma Achille si rivela più simile a Ettore del previsto, nel seguire un codice d'onore che solo la passione più feroce gli fa violare, e infatti, davanti alla catartica morte di Ettore, egli si riscopre "fratello d'arme" di quel grande guerriero che ha barbaramente ucciso e macellato, rivelandosi quindi molto più nobile e rispettabile dell'intero campo acheo.
 Un discorso analogo di riscatto viene portato avanti per la grande traditrice Elena e il farfallone Paride (qui ritoccato per essere meno vacuo), mentre per i "mostri" Agamennone e Menelao c'è la giusta morte che si meritano.
 L'insistenza con cui Ettore e Achille vengono modernizzati, però, rendendo il primo scettico verso gli dei e il secondo sensibile e attento alle parole delle donne che sembrano fragili ma sono fortissime, è anche ciò che stona.  Anche ignorando tutta la componente politica e patriottica con cui si vuole dare una patina finto-storica alla narrazione (per allontanarla dalla dimensione mitologica originale), lo spettatore si rende conto più volte che si può sorvolare sulla gestione manichea e facilotta di certi personaggi, ma non si può fare altrettanto con l'adattamento esagerato al gusto odierno che è stato operato per questi guerrieri di tremila e passa anni fa.
 Davanti a questo eccesso di idealizzazione e di demonizzazione in salsa progressista, la percezione delle passioni e dei drammi dell'epopea vacilla, la maschera cade, ed emerge qualcosa di fin troppo simile ai patinati patemi e alle pretenziose paturnie dei protagonisti di una soap-opera.
 E' tutto finto, è tutto calcolato e studiato ad arte: la sensazione di essere manipolati cresce, e culmina in ogni scena madre in cui gli autori non riescono a convincerci pienamente, per un dettaglio o per l'altro. Ma cosa c'è di strano, considerando che stiamo parlando di cinema, e quindi di finzione realizzata per forza di cose a tavolino?
 Lo sceneggiatore dichiarò che, per scrivere un film bello, aveva per forza di cose dovuto rimuovere tutto l'impianto mitologico (con l'eccezione della breve apparizione di Tetide, madre di Achille, che declama la sua celebre profezia sul figlio).
 L'impressione finale, però, è che lo sceneggiatore, per scrivere un film bello, avrebbe anche dovuto evitare di imbottirlo di personaggi di plastica a cui è stata trapiantata un'anima forzatamente e incongruamente moderna, tradendo così il fattore fondamentale di un mondo antichissimo il cui fascino deriva dall'essere perennemente guidato e sconvolto da passioni primordiali, sanguigne e ferine, determinate da una morale e un codice che non erano quelli moderni.
 Ecco quindi costa stona in questo film: l'utilizzo di nomi celeberrimi nell'immaginario collettivo per vendere un prodotto che con quell'immaginario ci azzecca quanto la pubblicità di un detersivo. Anche ragionando nell'ottica della sola godibilità del film, è in realtà impossibile prescindere dal materiale originale: non perchè lo spettatore sia un inguaribile appassionato senza imparzialità, ma perchè gli autori lo hanno imposto come riferimento obbligato. Avessero cambiato i nomi di persone e posti, sarebbe stato possibile giudicare il film più spassionatamente, come un qualunque prodotto fantastico-epico per l'intrattenimento senza pretese.
 Il sipario definitivo cala con la scena in cui, la mattina in cui Achille dovrebbe riparitre per la Grecia, il sole sorge clamorosamente dal mare Egeo, cioè da ovest, invece che sorgere dalla terra a est, cioè l'Anatolia.

 Ma che questa non fosse Troia, lo avevamo capito da tempo.
 
I tradimenti letterari

 Gli dei dell'Olimpo sono stati completamente rimossi dalla vicenda. Le morti e le rivalità sono state arbitrariamente posticipate, rimescolate, ribaltate, rinnegate.

 Le caratterizzazioni dei personaggi più rilevanti sono state stravolte. Le storie d'amore sono state ricombinate a piacere o cancellate.

 Personaggi di grande importanza come l'acheo Diomede e la regina amazzone Pentesilea sono stati ignorati.

 Patroclo è diventato più giovane di Achille, nonchè suo cugino, allo scopo di coprire il loro vero rapporto (declinato alla "maniera greca").

 Di Neottolemo, figlio di Achille, non vi è traccia, così come delle sue imprese e nefandezze durante la guerra.

 Enea, da vicecomandante dell'esercito troiano, diventa un ragazzetto, che fugge sì da Troia in fiamme per adempiere al destino di giungere in Italia e fondare la stirpe della "gens iulia" (da cui discenderanno Giulio Cesare e il suo figlio adottivo Augusto), ma si porta appresso gente importante come Andromaca, Astianatte e Briseide (che furono invece preda degli achei e destinati a destini tanto tristi quanto celebri).

 Ettore uccide un Aiace (Telamonio od Oileo?) invece che giungere a un pareggio.

 Dei cento figli di Priamo non si fa menzione.

 Della tragedia di Cassandra e delle sue profezie non si fa menzione.

 L'assedio di Ilio, durato quasi dieci anni, qui diviene una questione di poche settimane.

 Achille è ossessionato dalla sola Briseide, mentre viene dimenticato il suo fugace amore per la morente regina amazzone Pentesilea, nonchè la sua defezione dall'esercito acheo per sposare la troiana Polissena.

 Achille muore durante l'incendio di Troia, accettando persino di prendere parte al codardo inganno del cavallo, quando invece letterariamente la sua fine giunge molto prima della presa della città.

 Agamennone muore, quando invece dovrebbe tornare in patria ad affrontare tragedie familiari terribili (da cui appunto sono state ricavate opere tragiche).

 Menelao muore, invece che ritornare a Sparta per regnare con quella stessa Elena che qui invece fugge chissà dove.

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