venerdì 11 ottobre 2019

"American History X" (1998)

 "American History X" (1998) è un film drammatico e sociologico, diretto da Tony Kaye e sceneggiato da David McKenna, che parla del conflitto etnico della provincia degli Stati Uniti.

 A causa del tema difficile ed estremamente impegnato, il film ha ricevuto numerose nomine, nonchè un premio per l'attore protagonista Edward Norton, ma se si guarda al di là delle ottime intenzioni educative ed edificanti del film, è difficile non restare spiazzati dalla scarsa qualità della confezione.

 Se la grigia regia, quasi da film per la tv, è giustificabile e anche logica, perchè il tema trattato richiede un opaco e freddo rigore cronachistico, non si può però dire altrettanto della effimera sceneggiatura, che si sviluppa in maniera legnosa e didascalica, più simile allo stile di un documentario educativo prendente piede da posizioni prevenute invece che a un'indagine onesta il cui scopo sia approfondire un argomento tutt'altro che semplice. Per di più, essendo concentrata su una scrittura a tesi che ha come unico obiettivo quello di dimostrare un certo punto di vista, la sceneggiatura risulta abborracciata e inconsistente nello sviluppare logicamente la trama, e ricorre a sensibili forzature per dirigere l'evoluzione dei due protagonisti (gli unici due che subiscono cambiamenti comportamentali in tutta la narrazione) verso la meta desiderata.
 La superficialità dell'approccio è visibile nel disegno di tutti i personaggi, delineati secondo grossolani stereotipi che li privano di credibilità: è piuttosto facile disprezzare l'obeso e patetico neo-nazista tatuato, che vomita slogan idioti a pappagallo per compensare le proprie carenze; è incomprensibile quanto l'ideologo neo-nazista sia stupido e privo di argomenti, quando si confronta faccia a faccia col protagonista (eppure è stato lui stesso a plagiare il protagonista e il fratello minore, quest'ultimo per ben tre anni; che argomenti ha usato, se adesso riesce a malapena a balbettare frasi da "folle criminale" dei fumetti più dozzinali?); è desolante vedere le donne progressiste e democratiche ostinarsi nel loro comportamento a senso unico, basato sulla sola negazione dei concreti problemi di crimini e omicidi da cui il loro quartiere è  afflitto, e che sono costati la vita al padre della loro famiglia.

 Come la sceneggiatura è schematica, così i dialoghi sono imbarazzanti nella loro banalità e incapacità di andare oltre una collezione di inerti frasi fatte.
 Il protagonista è uno studente modello, colto e preparato, e quando vuole può sciorinare lunghissimi discorsi sul problema etnico statunitense (vedi il pestaggio di Rodney King), ma si ritrova a balbettare frasi infantili, intervallate da interiezioni abusatissime quali "man", "bullshit" e "you know" ogni qual volta deve invece spiegare ciò in cui crede, ciò in cui non crede più, e in che modo è passato da essere neonazista a democratico; e incredibilmente, il fratello minore, dopo tre anni di indottrinamento neonazista, gli dà ascolto per un paio di ore e, di colpo, abbandona tutta la sua ideologia supremazista, come se fosse stata l'infatuazione di una notte e non gli avesse plagiato la mente e i suoi schemi di pensiero e i suoi valori. Forse è solo perchè Edward Norton e il fratello recitano a braccio, o forse i due non avevano voglia di studiare il copione e di ripetere le scene venute male: non si capisce.
 Gli altri attori, invece, schiacciati dalla solita logica "a tesi" della narrazione, recitano con fermezza i florilegi di educativi luoghi comuni attribuiti ai loro personaggi, senza mai distaccarsi da una sciapa piattezza televisiva (non a caso Avery Brooks viene dai telefilm e il suo ruolo più famoso è quello del comandante di Star Trek: Deep Space Nine) e senza mai mettere a nudo la psicologia dei personaggi o i nodi cruciali della questione.

 Di conseguenza, anche il nobile insegnamento del film ne viene svilito, e risulta non solo pretenzioso, ma purtroppo approssimativo e contraddittorio.
 Il protagonista, che sin dall'inizio risulta nettamente non credibile come naziskin a causa dei suoi lineamenti delicati e del suo modo di fare timoroso, apparentemente impara in carcere che i criminali neonazisti e latini e neri sono tutti spietati allo stesso modo, ma già prima sembrava solo un intellettuale arrabbiato che non condivideva nulla di ciò che affermava. Bizzarramente, il suo messaggio finale sull'inutilità dell'odiare le altre etnie (declinato goffamente in una confusione di mille "cioè" e "stronzate") non c'azzecca nulla con la trama del film, che fino a poco tempo prima era la storia di un giovane che, cercando vendetta per l'uccisione del padre da parte di criminali neri, se la prende ammazzando qualche delinquente nero e imparando a memoria l'ideologia neonazista. Cos'ha imparato veramente il personaggio, che si lascia alle spalle il lutto del padre con una tale facilità? Cosa ci dice della sua vera psicologia, questa leggerezza da banderuola? Niente. Il film non vuole essere credibile o mettere in scena personaggi consistentio: vuole solo dare un insegnamento.
 Peggio ancora: con la vendetta finale dei criminali neri, che gli ammazzano il fratello minore nell'impotenza delle istituzioni (la scuola e la Polizia), si vorrebbe mostrare come l'odio generi altro odio. Intento nobile. Invece, si finisce col presentare la conclusione che la classe media statunitense può solo subire crimini e violenza stando zitta, perchè nessuno ha interesse a tutelarla sul serio (si scatenerebbe un conflitto sociale anche peggiore) e perchè, se si vendica da sola, verrà punita dai criminali, i quali sono molto più potenti delle istituzioni. In altre parole, molto grezze ma realistiche, la morale è:  "mutismo e rassegnazione". Il problema rimane, ma siccome non c'è una la soluzione, bisogna continuare a negarlo e morire senza protestare.

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