sabato 22 luglio 2023

"The Lodgers" - "The Lodgers - Non infrangere le regole"

 "The Lodgers" (2017), in Italia "The Lodgers - Non infrangere le regole", scritto da David Turpin e diretto da Brian O'Malley, è un film irlandese di orrore gotico.
 
 Una claustrofobica, umida e ammuffita magione, un tempo lussuosa ma ormai in rovina, nella profonda e soffocante campagna irlandese del 1920, è ambientazione e personaggio della storia di due gemelli adolescenti che vivono in isolamento volontario, portando avanti l'enigmatica volontà dei loro defunti genitori. Intorno a essi si muovono evanescenti e minacciose presenze acquatiche che albergano in un lago vicino e negli scantinati della villa, dettando letteralmente le regole della semplice ma malsana vita dei due fratelli. Col procedere della narrazione, la relazione tra i due gemelli si chiarisce e si rivela sempre più morbosa, e minaccia di travolgere chiunque cerchi di intromettersi, dal curatore del loro patrimonio ormai esaurito fino al giovane reduce di guerra attratto dalla gemella.
 Il mistero si svela progressivamente, mai in maniera del tutto esplicita, col crescere dell'orrore che irrompe nella vita dei gemelli; la sua natura è dichiaratamente ispirata alle mostruosità concepite da Howard P. Lovecraft, senza mai utilizzarle direttamente: il richiamo al racconto L'orrore di Dunwich è fortissimo, ma la logica perversa che si annida nella famiglia ha una natura di tipo diverso.
 Coerentemente con la narrazione, anche i dialoghi illustrano e svelano, senza mai diventare didascalici, e caratterizzando i personaggi in maniera accurata, a volte prevedibile, sempre nella scia degli archetipi del genere: c'è quindi la ragazza forte che mira a emanciparsi, il fratello possessivo e succube dei genitori morti, la negoziante ostile, i fannulloni molestatori, il nobile cavaliere senza macchia che si sacrifica per amore.
 Restano zone d'ombra e angoli oscuri che tocca allo spettatore riempire: fino a che punto ciò che si vede nella magione è vero, se, per esempio, la preziosa collana di perle in mano alla protagonista diviene, all'esterno, una sinistra collanina di ossa di uccello? Quanto è affidabile la percezione soggettiva dei protagonisti? Perché gli "altri" acquatici e le loro azioni soprannaturali si manifestano solo in presenza dei gemelli? Non c'è risposta a queste domande, come non è dato capire quanto siano reali gli "altri" del lago e le loro manifestazioni (come il cancello che si chiude da solo per salvare la ragazza dai paesani assatanati), e quanto invece siano proiezione dell'inconscio dei due gemelli, la cui vita si rinnova di generazione in generazione con la violazione di un tabù ancestrale.
 Charlotte Vega e Bill Milner interpretano i due gemelli con efficacia, rendendone le emozioni complesse e contraddittorie, dal desiderio di libertà da quella vita all'orgoglio nel difenderla davanti agli estranei, dall'amore fraterno al bisogno morboso, avvelenato com'è dalla paura e dalla rassegnazione a un destino orrendo e immutabile.
 La regia, elegante e meticolosa, delinea con cura maniacale i dettagli del contesto isolato dalla civiltà, e, grazie alla competente fotografia, pone un'enfasi notevole sull'atmosfera e sull'ambiente naturale e acquatico, tutti fondamentali per rendere la gelida e onnipresente potenza del contesto in cui si sviluppa un orrore antico di secoli, risalente al vecchio continente e a una stirpe che si è distaccata dall'umanità per sviluppare una nuova, indecifrabile e spietata forma di vita. Gli effetti speciali, utilizzati con parsimonia, ottengono il massimo effetto disturbante tramite tocchi minimi, come l'acqua che gocciola verso l'alto, un leitmotiv fondamentale per la narrazione.
 Le immagini, sempre iconiche ed evocative, si intrecciano ai simbolismi piuttosto espliciti della vicenda, dove la sessualità gioca un ruolo fondamentale, ma non viene mai ostentata né sfruttata per compiacere il basso ventre dello spettatore. Nel finale, compare la chiave di lettura dell'emancipazione dei figli rispetto ai geniori: l'emersione dal lago equivale alla rinascita di chi sopravvive, dopo l'orrenda vita trascorsa nella casa, a sua volta riconducibile a una terribile gestazione in un ventre materno spaventoso e ostile.
 Una colonna sonora minimale, quasi inesistente, sottolinea proprio col suo silenzio l'angosciante solitudine dei luoghi della vicenda, soprattutto in presenza degli sventurati personaggi, ed esalta la nota palesemente negativa del finale: sebbene il meccanismo che perpetuava l'orrore sia stato distrutto, un singolo elemento dichiaratamente immaginario della follia che permeava la storia sopravvive, inosservato, e segue i superstiti nella loro fuga, lasciandoli nell'illusione di aver riguadagnato la libertà, e facendoci comprendere che la radice dell'orrore va oltre la perversione umana che sembrava averlo originato.

martedì 7 marzo 2023

Franklyn (2008)

Franklyn (2008), scrittto e diretto da Gerald McMorrow, è un labirintico film fanta-nero che sfugge a una facile classificazione e costituisce un'avvicente e appagante sfida all'attenzione, se non all'intelletto, dello spettatore.

"Se Dio non può sconfiggere il male, allora non è onnipotente. Se può sconfiggerlo e non vuole farlo, allora Dio è malvagio. Se invece non vuole e non può farlo, allora perché chiamarlo Dio?" (Jonathan Preest)

Spiazzando completamente lo spettatore (ingannato, all'epoca dell'uscita nelle sale, da anteprime che annunciavano un film nello stile di V for Vendetta), le vicende di una brulicante e distopica megalopoli senza tempo, caratterizzata da colossali e soffocanti architetture gotiche, si alternano a quelle della Londra moderna del nostro mondo. Nella megalopoli di Meanwhile City (Città di Mezzo), dove la Polizia Clericale perseguita chiunque non aderisca a una delle innumerevoli religioni ufficiali, si muove il giustiziere mascherato Jonathan Preest, mentre a Londra si intrecciano le tormentate vite dell'artista Emilia, intenta a giocare col suicidio, del giovane Milo dal cuore spezzato, abbandonato sull'altare, e dell'anziano e religioso David, in cerca del figlio scomparso dopo essere stato dimesso da un'imprecisata istituzione.

Come queste due realtà, simili a universi paralleli o a diverse epoche temporali, giungano a connettersi, è un elemento fondamentale delo sviluppo della trama e della sua risoluzione, ed è quasi impossibile parlarne senza rovinare la sorpresa allo spettatore. Questo aspetto gioca un ruolo fondamentale nella classificazione precisa del film, tra i cui obiettivi c'è soprattutto l'analisi psicologica dei personaggi e l'indagine dei traumi infantili che li hanno condotti alla loro condizione attuale. A essa si mescola il citazionismo cinematografico colto ed esplicito, che va dai toni hard-boiled dei film neri (con la voce narrante in prima persone di Preest, la quale risuona in entrambi gli universi) alle atmosfere caotiche dell'alienato futuro di Blade Runner, passando per le visioni di governi allucinanti e oppressivi come quello di V For Vendetta o di Watchmen (due film tratti da opere dello stesso autore). Il regista e sceneggiatore, però, pur cogliendo le suggestioni di queste narrazioni classiche, ormai stratificate nell'immaginario collettivo, mira a raccontare tutt'altro genere di storia, prendendo alla sprovvista lo spettatore con il ribaltamento di prospettiva finale, che conduce alla risoluzione collettiva di tutte le trame, dopo aver seminato qua e là certi subdoli indizi (che sicuramente permettono agli spettatori più esperti di comprendere in anticipo che le cose non sono ciò che sembrano).

Volendo ricorrere ai soliti luoghi comuni, si potrebbe dire che questo non è un film per chi vuole essere intrattenuto spegnendo il cervello, perché è necessario un minimo di reazione cognitiva alla narrazione, per connettere i punti e coglierne il disegno; eppure, questo luogo comune finisce per essere falso, perché la rivelazione finale del geometrico piano su cui è stata costruita la vicenda non è solo immediata, illuminante e lineare, ma è anche esposta con la stringata chiarezza di asciutti dialoghi che, nella loro spiazzante semplicità, forniscono un'efficacissima chiave di lettura istantanea che fa chiarezza sull'intera narrazione, testimoniando l'indubbio talento dell'autore e l'accurata pianificazione di ogni elemento dell'architettura, in una simbiosi naturalmente felice tra immagine e parole. In questo momento culminante, quando ogni personaggio scopre o annuncia la propria vera natura, in una rivelazione collettiva che è anche catarsi, si coglie una sorprendente affinità con certe tematiche e idee della serie Battlestar Galactica (2003), dove a guidare i protagonisti alla realizzazione del loro destino, inteso come meta ma anche come forza attiva dell'esistenza, ci sono sfuggenti entità solo apparentemente umane, apparizioni "angeliche" che sembrano soggettive, ma hanno invece una loro oggettività, e si mescolano all'umanità senza mai esserne parte, aiutandola a contribuire a un indecifrabile disegno universale (qui ribaltato in chiave minimalista e intimista).

Da questa ambiziosa visione narrativa scaturisce un film in cui è divertente perdersi, per poi ritrovare la strada tramite gli indizi che portano alla risoluzione degli enigmi incontrati, e infine restare deliziati da come la spiegazione razionale offerta in conclusione venga comunque sfumata fino a recuperare l'ambiguità della duplice realtà iniziale: i personaggi di fantasia, svaniti quando i protagonisti raggiungono la catarsi e predono atto della realtà, non sono così immaginari come credevamo, e se ci si crede veramente, le proprie convinzioni possono divenire una realtà che si sovrappone a quella oggettiva. La spiegazione finale, con i suoi molteplici livelli di lettura, convince e affascina, evitando di sommergerci coi didascalismi, e ci riesce con tale efficacia da spingerci a riguardare il film da capo, sfruttando la consapevolezza acquisita per scoprire e apprezzarne ancora di più le sfumature e dettagli.

La produzione di questo film è stata definita "a basso costo", in quanto il ricorso agli effetti speciali è ristretto alla sola resa, molto efficace e credibile, delle incombenti architetture religiose e monumentali della tenebrosa e allucinata Meanwhile City. Proprio in questa componente, che viene superficialmente presentata come povertà di mezzi dovuta a ristrettezza economica, si scopre non solo il talento di una regia che sa raccontare le persone tramite l'ambiente in cui sono calate, ma anche la bravura di un autore che sa concedere il giusto spazio alla spettacolarità visiva (elemento ovviamente basilare per una narrazione cinematografica), e se ne serve per giungere alla sostanza delle idee e dei contenuti, i quali spaziano con intelligenza dalle suggestioni fantastiche del giallo gotico alle tematiche del disagio esistenziale che colpisce ogni fascia della società (i reduci di guerra, che vivono abusivamente in abitazioni fatiscenti, non sono tanto diversi dai ricchi figli di papà che non sanno dare un senso alla propria vita e cedono a pulsioni suicide), passando per la critica della religione e della fede, usate dal potere per controllare il popolo e dalle persone per fuggire dai propri problemi.

La caratterizzazione dei personaggi, da scoprire progressivamente, è solida e coerente, e richiede un certo impegno per essere compresa, analizzando dialoghi, comportamenti, espressioni e silenzi. L'attrice Eva Green, con i suoi lineamenti letteralmente goticheggianti nella loro incisività sofferta e allucinata, si impegna fondo nel rendere l'artista Emilia, confererendole lo spessore della verità di un personaggio traumatizzato nell'infanzia dagli abusi del padre e cresciuto quindi come persona tormentata e, quindi, caratterialmente sgradevole: nel suo realismo, è un personaggio lontano dalla resa consolatoriamente edulcorata della figura, presente in tanti film molto più facili e dozzinali, della vittima per la quale si è subito portati a simpatizzare perché descritta, faziosamente e ipocritamente, in modo patetico, ruffiano e psicologicamente fasullo.
Non è un caso che finisca per incontrare e scontrarsi con l'altro protagonista, il tenebroso giustiziere interpretato da Ryan Philippe, il quale incarna la follia incontrollabile e violenta dell'uomo, annidata dietro una rassicurante facciata di bell'aspetto, stile e ricercatezza quasi modaiola (basti notare l'eleganza della sua tenuta da giustiziere, che si oppone radicalmente alle bizzarrie straccione dell'umanità demente di Meanwhile City, e che non casualmente la regia descrive con un'accuratezza insistente e quasi maniacale); dove Emilia comunica la propria disperazione soprattutto per immagini (più o meno artistiche), Preest si serve invece della parola, essendo sua la cupa voce narrante alla Raymond Chandler che accompagna la missione di quello che ci viene presentato, ingannandoci abilmente, come un sofferto anti-eroe in lotta da solo contro il sistema, per il quale ci sentiamo di parteggiare sin dall'inizio. Nel confronto con questi due personaggi così fortemente caratterizzati, il terzo protagonista, Sam Riley, scivola in secondo piano, sebbene il suo aspetto di eterno adolescente, un po' caricaturale nei suoi tratti britannici, si adatti molto bene al ruolo che deve interpretare.
 
La colonna sonora, come la regia, si dimostra duttile e adattabile, e scivola dalle musiche grandiose e orchestrali delle titaniche visioni monumentali di Meanwhile City ai toni intimisti e sommessi delle sofferte storie personali dei personaggi londinesi.

Chi o cosa è Franklyn, nel film? Curiosamente, non è né uno dei personaggi nè un luogo: si tratta del cognome (o del nome) sulla targhetta del citofono dell'appartamento abbandonato in cui il personaggio dalla doppia identità di Ryan Philippe si stabilisce quando la collisione tra le trame principali e le due realtà parallele diventa apparente, fungendo quindi da fulcro e snodo cruciale dell'impianto narrativo (lo stesso citofono viene in precedenza inquadrato, come muto testimone nell'incontro casuale tra altri personaggi).