mercoledì 16 ottobre 2019

"Meet Joe Black" (1998) - "Vi presento Joe Black"

 "Meet Joe Black" (1998), in Italia "Vi presento Joe Black", diretto da Martin Brest e scritto da Bo Goldman, viene normalmente descritto quasi esclusivamente come un film romantico, sebbene abbia alcune notevoli carte per titillare gli appassionati del fantastico e si presti a riflessioni non banali sul senso della vita.


Scheda di "Meet Joe Black" su wikipedia

 Nel 1924, il commediografo italiano Alberto Casella scriveva una commedia intitolata "La morte in vacanza", in cui immaginava che la Morte si incarnasse in un corpo umano per prendersi un periodo di riposo.
 Nel 1934, un film omonimo trasponeva la commedia sul grande schermo, mantenendo il tema della Morte che si innamora di una donna comune, e facendole inoltre dimenticare il proprio ruolo, interrompendo quindi il ciclo vitale della Terra.
 Oltre ad aver ispirato varie vicende di "Dylan Dog", il film potrebbe essere stato alla base della saga fumettistica "Secret Wars 2" della Marvel, la quale vedeva un essere onnipotente (l'Arcano) assumere forma fisica per capire il significato dell'incompletezza e del desiderio che affliggono gli umani (giungendo nei suoi 6 mesi di avventure persino ad annientare la Morte, interrompendo il ciclo della vita).
 Nel 1998, il film viene rifatto col titolo di "Meet Joe Black" ("Vi presento Joe Black").

 La dose di glucosio che caratterizza i dialoghi di certi personaggi è sicuramente elevata, il desiderio di fare cassetta con la presenza di un leccatissimo e già celebre Brad Pitt è piuttosto palese, la durata complessiva di 180 minuti può mettere alla prova gli spettatori più stoici, e l'adorabile monoespressività della insolita e intensa bellezza di Claire Forlani può spingere forse all'esasperazione, ma il film ha molte altre carte da giocare: tecnicamente di buona fattura, in termini di regia, fotografia e sceneggiatura, gode anche della sontuosa ed emotiva colonna sonora del celebre Thomas Newman.
 Se si riesce quindi a guardare oltre i difetti, e ci si lascia incantare come un amante dei fumetti che vuole vedere una qualche trasposizione di qualità del fantastico sul grande schermo, ecco che il film sviluppa concetti intriganti e propone riflessioni di una certa sensibilità.
 Idee come poter parlare con la propria Morte nei giorni che precedono la propria dipartita; incontrare un'entità metafisica assoluta che ha assunto forma umana e che si rivela essere non una divinità onnipotente ma un ingranaggio solo parzialmente consapevole all'interno di un cosmo comunque cieco; vedere come la Morte cambi atteggiamento e carattere a seconda del mortale che la riconosce.
 Quest'ultima caratteristica merita una digressione, per segnalare le sequenze ospedaliere dedicate all'anziana donna giamaicana, malata di tumore e lacerata tra il desiderio di vivere e quello di morire; sequenze in cui Joe Black (e qui Brad Pitt si dimostra davvero bravo) diviene automaticamente una divinità della morte dell'Obeah (il sistema di credenze che gli schiavi centrafricani portarono con sè nelle Americhe, ibridandolo con le credenze cristiane), e lo fa cambiando accento, carattere, mimica e modo di fare, e si lascia quindi commuovere dal dolore dell'anziana donna, concedendole ciò che desidera e ricevendo da lei una illuminante rivelazione sulle conseguenze della sua stessa umanizzazione.

 Da qui, andando oltre lo scopo della cassetta, il film riesce quindi anche a trattare sottilmente la tematica dell'occultamento della morte nella nostra società: i malati vengono isolati in ospedali (o dietro altre mura), dove ai sani viene risparmiata la visione della sofferenza, dell'agonia, del dolore e del degrado corporeo; e l'augurio che tutti si fanno è quello di morire rapidamente e improvvisamente. E il film segue esattamente questa metodologia, sia per la pulita e dolce morte della donna giamaicana, sia per il fuori scena in cui il protagonista Bill Parrish finalmente incontra il proprio destino, spingendoci così prima a criticare la zuccherosa mancanza di realismo di queste scene, e poi a renderci conto che è così che la nostra società e mentalità gestiscono la morte: rimuovendola.

 Da reinterpretare è quindi il percorso della giovane Susan: in apparenza una donna romantica che si innamora scioccamente della Morte, attratta dal suo bel faccino di attore famoso, Susan compie invece il percorso di accettazione della morte come parte della vita (e quindi la scena di amore ci riporta al freudiano intreccio di Thanatos ed Eros), rifiutandone la negazione a tutti i costi che è l'impulso imperante della nostra mentalità. Significative in questo senso sono, prima,  la scena in cui Susan prova un brivido di natura cosmica, quando sfiora con l'intuito la vera essenza di Joe Black, e poi, la scena in cui, ritrovando il suo vero amato (riportato in vita dalla Morte stessa come regalo d'addio), Susan accetta l'intero impianto soprannaturale del film, nonchè l'improvvisa dipartita del padre, senza averla vista accadere, semplicemente dicendo "Vorrei che tu avessi conosciuto mio padre"; e così facendo lei, il film sembra auspicare che tutti quanti riscoprano nuovamente questa filosofia.

 Rimasta per ultima, ma sicuramente prima in termini di qualità, è l'interpretazione di Anthony Hopkins, qui impegnato nel ruolo di un magnate dell'informazione di vecchio stampo, e cioè dotato di etica professionale e senso di responsabilità, che deve fare i conti con i giovani dirigenti rampanti del suo consiglio d'amministrazione, ansiosi solo di fare profitto e vivere nel lusso, infischiandosene delle conseguenze delle loro scelte, non solo per le vite di migliaia di lavoratori, ma anche per il futuro stesso della società. E' ciò che Hopkins spiega con poche, stringate e pregnanti frasi, che definiscono la vera statura morale del personaggio; e non è certo un caso che, al termine della propria vita, chiedendosi se dovrebbe aver paura di ciò che lo attende, Hopkins si senta rispondere dalla Morte: "Non un uomo come te". Mentre gli altri personaggi risultano definiti, ma abbastanza monodimensionali, incastrati come sono in un ruolo narrativo obbligatorio per l'avanzamento della trama, Hopkins può invece dare del suo meglio sia nei pochi momenti ironici che in quelli più intensi, rendendo credibili e logiche anche le parti più stucchevoli che gli vengono assegnate (non è infatti ovvio che, sapendo con certezza di dover morire a breve, perchè la Morte stessa glielo ha annunciato, un uomo voglia i propri cari intorno a sè e divenga più comprensivo e magnanimo con tutti, nel tentativo di lasciare loro un'eredità positiva e che permanga negli anni a venire?). Diametralmente opposti (anche perchè collocati all'inizio e alla fine del film) sono i "predicozzi" che Hopkins riserva alla figlia Susan (che non ha ancora capito cosa sia il vero amore, e si accontenta di vivacchiare con l'insipido e infido Drew) e alla Morte stessa (che parla invece continuamente dell'amore che prova per Susan, ma sta invece comportandosi come un bambino egoista e viziato, disposto a rompere il proprio giocattolo piuttosto che rinunciarvi).
 In maniera speculare a Hopkins, Brad Pitt fa del suo meglio nel rappresentare le molteplici facce della morte: spietata nel proporre il patto a Parrish, buffamente impacciata nello scoprire l'umanità (e quindi eroticamente irresistibile per una donna insoddisfatta), aspra quando mostra il volto del culto Obeah, brillante e comica nella risoluzione della trama relativa alla fusione aziendale orchestrata dall'immorale e disonorevole arrampicatore Drew (il famoso detto "la morte e le tasse" diventa qui letterale), solenne e giusta nel sontuoso ed epico finale strappalacrime, contornato da grandiosi fuochi d'artificio e musiche di un'orchestra nettamente intenzionata a farci piangere a tutti i costi.
 E il film in sè, ci è riuscito?

 (Come contraddittorio a questo sproloquio, vi lasciamo con il responso critico di Rotten Tomatoes: "film glacialmente lento, e privo di eventi. Nominato ai Razzie Award come peggior rifacimento". Abbiamo visto la stessa pellicola?)

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