"A Knight's Tale" (2001), in Italia "Il destino di un cavaliere", scritto e diretto da Brian Helgeland, è una leggera commedia rosa con ambientazione medievale e qualche ambizione di originalità.
Con una trama esile e risaputa,
giocata sull'ironia che però ogni tanto finge di essere serietà, questo film mette in scena il classico gruppo di personaggi
maschili che si ridicolizzano a comando (a meno che non siano il
cattivissimo cattivo, o il povero padre vecchio e cieco), affiancati da
donne emancipate e infallibilmente superiori, le quali invece restano sempre trucemente serie anche quando
ridono. L'apparato narrativo oscilla tra lo storico e il fantastico,
mettendo in scena personaggi storici come Geoffrey Chaucer (il padre
della letteratura inglese) o il nobile Edoardo (il principe nero), per
poi utilizzare musica rock nei canti popolari da stadio o nelle scene di
ballo delle feste dei nobili (e attenzione, non è musica extradiegetica). Nonostante le
rimostranze di una parte del pubblico, non c'è nulla di anomalo
nell'avere una colonna sonora tratta dal più celebre rock moderno:
l'anomalia sta nel vedere come queste canzoni vengano cantate e ballate
dai personaggi, che quindi conoscono anacronisticamente testi e modi di
fare musica moderni (per non dire del protagonista che sembra
trasformarsi in un emulo di Tony Manero).
La narrazione si sforza di essere vivace, ma indulge eccessivamente nelle stucchevoli scene di amoreggiamento a distanza e nelle interminabili contese delle giostre di cavalieri (inevitabilmente tutte uguali); il
film dura tragicamente due ore e dodici minuti circa, mettendo a dura
prova la pazienza dello spettatore smaliziato.
Il film si ostina di creare agganci contemporanei nell'interpretazione della dinamica dei tornei, soprattutto per la descrizione del tifo del
pubblico, che è palesemente una trasposizione delle attuali tifoserie calcistiche, con una velata critica al costo
dell'intrattenimento sportivo che arricchisce i potenti e lascia
comunque poveri i popolani che si fanno accecare dalla strategia del panem et circenses.
La contaminazione moderna risalta anche
nell'abbigliamento femminile e nelle forzature che esso comporta:
l'emancipa nobildonna Jocelyn indossa capi trasposti dall'epoca odierna e
riletti in chiave medievale, a volte così audaci (la maglia aderente e
semitrasparente sotto il gilè) che in un contesto storico l'avrebbero
vista vittima di flagello e lapidazione per opera degli onnipresenti
chierici non appena fosse uscita di casa.
Tergiversando a lungo, lo sviluppo della trama
riceve finalmente un'impennata nel terzo atto, dove i nodi
troppo a lungo rimandati vengono al pettine, e lo scontro col
cattivissimo "cavaliere nero" (non il principe Edoardo, si badi bene)
porta finalmente in scena tutte le figure chiave dell'epica
cavalleresca, rendendo loro giustizia: non solo c'è il malvagio cavaliere nero,
ma c'è anche l'eroe che incarna invece il cavaliere puro e retto, sebbene non di nobili
natali, seguito dai suoi uomini che lo sostengono incondizionatamente
anche nella caduta in disgrazia; e soprattutto c'è il principe in
incognito, saggio e giusto, che premia l'eroe per le scelte di onore e
correttezza fatte in passato senza alcuno scopo di guadagno, chiudendo
finalmente il cerchio narrativo che restava in sospeso sin dalle prime
decine di minuti.
Coerentemente col tono narrativo tenuto, senza mai rinunciare alla goliardia e al
citazionismo di epigrammi che si muta in auto-citazionismo, il film
si accomiata con una scena successiva ai titoli di coda in cui i comprimari ci
allietano con una gara di flatulenze.
La recitazione è onestamente ben gestita da tutti gli attori, ma il tono farsesco della vicenda, che vira al massimo sul romantico più dozzinale, impedisce di apprezzare il loro effettivo talento.
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