martedì 29 ottobre 2019

"A Knight's Tale" (2001) - "Il destino di un cavaliere"

 "A Knight's Tale" (2001), in Italia "Il destino di un cavaliere", scritto e diretto da Brian Helgeland, è una  leggera commedia rosa con ambientazione medievale e qualche ambizione di originalità.
 

 Con una trama esile e risaputa, giocata sull'ironia che però ogni  tanto finge di essere serietà, questo film mette in scena il classico gruppo di personaggi maschili che si ridicolizzano a comando (a meno che non siano il cattivissimo cattivo, o il povero padre vecchio e cieco), affiancati da donne emancipate e infallibilmente superiori, le quali invece restano sempre trucemente serie anche quando ridono. L'apparato narrativo oscilla tra lo storico e il fantastico, mettendo in scena personaggi storici come Geoffrey Chaucer (il padre della letteratura inglese) o il nobile Edoardo (il principe nero), per poi utilizzare musica rock nei canti popolari da stadio o nelle scene di ballo delle feste dei nobili (e attenzione, non è musica extradiegetica). Nonostante le rimostranze di una parte del pubblico, non c'è nulla di anomalo nell'avere una colonna sonora tratta dal più celebre rock moderno: l'anomalia sta nel vedere come queste canzoni vengano cantate e ballate dai personaggi, che quindi conoscono anacronisticamente testi e modi di fare musica moderni (per non dire del protagonista che sembra trasformarsi in un emulo di Tony Manero).
 La narrazione si sforza di essere vivace, ma indulge eccessivamente nelle stucchevoli scene di amoreggiamento a distanza e nelle interminabili contese delle giostre di cavalieri (inevitabilmente tutte uguali); il film dura tragicamente due ore e dodici minuti circa, mettendo a dura prova la pazienza dello spettatore smaliziato.
 Il film si ostina di creare agganci contemporanei nell'interpretazione della dinamica dei tornei, soprattutto per la descrizione del tifo del pubblico, che è palesemente una trasposizione delle attuali tifoserie calcistiche, con una velata critica al costo dell'intrattenimento sportivo che arricchisce i potenti e lascia comunque poveri i popolani che si fanno accecare dalla strategia del panem et circenses.
 La contaminazione moderna risalta anche nell'abbigliamento femminile e nelle forzature che esso comporta: l'emancipa nobildonna Jocelyn indossa capi trasposti dall'epoca odierna e riletti in chiave medievale, a volte così audaci (la maglia aderente e semitrasparente sotto il gilè) che in un contesto storico l'avrebbero vista vittima di flagello e lapidazione per opera degli onnipresenti chierici non appena fosse uscita di casa.

 Tergiversando a lungo, lo sviluppo della trama riceve finalmente un'impennata nel terzo atto, dove i nodi troppo a lungo rimandati vengono al pettine, e lo scontro col cattivissimo "cavaliere nero" (non il principe Edoardo, si badi bene) porta finalmente in scena tutte le figure chiave dell'epica cavalleresca, rendendo loro giustizia: non solo c'è il malvagio cavaliere nero, ma c'è anche l'eroe che incarna invece il cavaliere puro e retto, sebbene non di nobili natali, seguito dai suoi uomini che lo sostengono incondizionatamente anche nella caduta in disgrazia; e soprattutto c'è il principe in incognito, saggio e giusto, che premia l'eroe per le scelte di onore e correttezza fatte in passato senza alcuno scopo di guadagno, chiudendo finalmente il cerchio narrativo che restava in sospeso sin dalle prime decine di minuti.

 Coerentemente col tono narrativo tenuto, senza mai rinunciare alla goliardia e al citazionismo di epigrammi che si muta in auto-citazionismo, il film si accomiata con una scena successiva ai titoli di coda in cui i comprimari ci allietano con una gara di flatulenze.

 La recitazione è onestamente ben gestita da tutti gli attori, ma il tono farsesco della vicenda, che vira al massimo sul romantico più dozzinale, impedisce di apprezzare il loro effettivo talento.

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