"Mine" (2016), scritto e diretto da Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, viene classificato come thriller, è però più che altro un percorso catartico e di rinascita di un soldato che si ritrova da solo in Medio Oriente, nel bel mezzo di un deserto, con un piede su una mina.
Impossibilitato a muoversi, con i soccorsi che tardano ad arrivare, il soldato deve sopravvivere ai pericoli concreti del deserto e a quelli che scaturiscono dalla sua psiche. Le condizioni estreme a cui è sottoposto fanno letteralmente materializzare il suo inconscio, generando spunti di riflessione sulla guerra, la vita privata, l'amore, il senso dell'esistenza.
Con l'avanzare della narrazione, sempre più labile si fa il confine tra cosa è vero e cosa è invece soltanto immaginato: gli indigeni che gli fanno visita senza aiutarlo, i predatori notturni che lo assalgono, i ricordi che lo tormentano, il clima torrido che lo fa rosolare, le riserve di acqua e cibo che si esauriscono. E la soluzione finale ci costringe definitivamente a dubitare di gran parte delle cose che abbiamo visto.
Il dizionario cinematografico Morandini sottolinea che si tratta di un "progetto ambizioso" (come
dimostra una sceneggiatura molto attenta a simmetrie ed echi e
simbolismi (il momento in cui il soldato Mike poggia il piede a terra e
dà una svolta alla propria vita è il leitmotiv di tutti i flashback che
ripercorrono la sua esistenza), "di 2 registi esordienti e contro la
guerra" (come attesta l'inatteso e sardonico finale).
Ci si
chiede anche se il ritmo del terzo atto rallenti eccessivamente, quando, paradossalmente, le
rivelazioni sul passato di Mike si susseguono freneticamente e, soprattutto, si
protraggono oltre il necessario: si tratta di situazioni molto
stereotipate (padre violento, madre che muore di malattia, fidanzata che
lui ha difeso come un cavaliere senza macchia), che in questa epoca di
film frenetici come videoclip, lo spettatore può intuire senza tanta fatica
e senza l'esigenza di farsi spiegare tutto nel dettaglio.
Il
protagonista è interpretato da Armie Hammer, attore che fa sempre un
buon lavoro nell'essere rassicurante e farsi benvolere dallo spettatore
anche quando è nel mezzo delle crisi più terribili; per sua sfortuna, che soffre di una
fama di jettatore dai tempi di "Lone Ranger", ed è sparito dal grande
schermo.
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