mercoledì 9 ottobre 2019

"Collateral" (2004)

"Collateral" (2004) è un gustoso e intrigante film nero e d'azione, con una sottile venatura piscologica, che dura la bellezza di due ore, ma riesce a tenere lo spettatore costantemente avvinto e coinvolto nella visione. Con la regia di Michael Mann e la sceneggiatura di Stuart Beattie.

Scheda di "Collateral" su wikipedia

Ambientato in una brulicante e spersonalizzata Los Angeles notturna, è la storia di un tassista nero senza futuro (Max, interpretato da Jamie Foxx) che si ritrova a trasportare contro la propria volontà un sicario sociopatico (Vincent, interpretato da un brizzolato Tom Cruise), il cui scopo è spostarsi da un punto all'altro della città per eliminare cinque testimoni scomodi per conto di un narcotrafficante.
La sceneggiatura, capace di variare di tono, ritmo e registro durante tutta la pellicola, esordisce in modo ingannevolmente intrigante e seducente (Max trasporta una avvocatessa nera con la quale costruisce subito un'intesa che sembra destinata a grandi cose), si indirizza poi verso un crescendo di violenza e di tensione (Vincent incontra un contrattempo nell'eseguire il primo omicidio e in seguito elimina alcuni delinquentelli di strada, creando tracce che attirano sulla sua pista la Polizia e il Federal Bureau of Investigation) e si concede sorprendenti pause di riflessione e di intelligente caratterizzazione.

Nostante l'elevato tasso di interesse che l'idea portante della vicenda comporta (come si comporterà il tassista? Ci si chiede. E in che modo il sicario lo terrà al guinzaglio?), la vera ciliegina sulla torta sono i dialoghi di Vincent, cinici e disincantati, durante i suoi scontri verbali col tassista che da tempo nasconde il fallimento della propria vita dietro una serie di autoinganni e menzogne. In parallelo con la trama nera delle uccisioni dei testimoni, si sviluppa infatti il conflitto morale tra i due protagonisti, nei cui taglienti dialoghi si intrecciano filosofia, nichilismo e umorismo nero, sempre declinati con una scelta chirurgica e parsimoniosa di parole. Una perla irresistibile di astuzia, ruffianaggine e divertimento è la sequenza in cui Tom Cruise incanta la madre di Max, ricoverata in ospedale, durante la fuggevole visita che i due le fanno per mantenere le apparenze.

Se inizialmente il tassista Max è succube e sembra quasi farsi incantare dalla secca ed essenziale parlantina e dal gelido fascino del sicario sociopatico, la vicenda non prende per fortuna la piega di un perverso rapporto di complicità (nè di sindrome di Stoccolma): con una notevole circolarità, infatti, l'ultima vittima risulta essere qualcuno Max conosce (indovinate chi), costringendolo a ribellarsi definitivamente alla gelida follia del suo carceriere: la frenetica mezz'ora conclusiva di inseguimenti a bordo della metropolitana è il tocco finale di intelligenza della sceneggiatura, in quanto l'epilogo della lotta fra i due uomini consiste proprio nell'attuazione della breve parabola con cui Vincent (presunto sociopatico, ma piuttosto acuto nell'analizzare la società contemporanea) stigmatizza Los Angeles quando conosce Max. E' in questo momento che lo spettatore si rende conto di come questa geometria pervada tutta la sceneggiatura, specialmente quando le beffarde parole di uno dei personaggi vengono improvvisamente ripetute dall'altro in un atto di ritorsione o di smascheramento della verità.

La città di Los Angeles è il terzo protagonista di questo film. Raccontata con grande accuratezza visiva e topografica (non a caso uno dei protagonisti è un tassista che ne conosce a memoria il traffico delle strade tentacolari), questa città di 17 milioni di abitanti è descritta nella sua natura multietnica, intimamente violenta dietro la facciata di potere e ricchezza, brulicante di un'umanità giovane e ricca, o disperata e corrotta, ma sempre disumana nel voler esistere a ogni costo, fregandosene degli altri. Sterminata nella sua estensione di milletrecento chilometri quadrati, automatizzata nella gestione del trasporto pubblico e dei grattacieli delle istituzioni, Los Angeles è un enorme formicaio che rimane sempre spaventosamente indifferente al destino delle innumerevoli (troppe) persone che la affollano e che, proprio per questo ne vengono spersonalizzate (che succede a qualcuno che muore sulla metropolitiana, si chiede Vincent: quanto ci vuole prima che un altro losangelino decina di accorgersene? E ancora: che tipo di losangelino accorre, quando tu sei prigioniero in un taxi? Un amichevole salvatore o un delinquentello che ha bisogno di soldi?). Altamente simbolica, tra tutte le altre icone visive e culturali della città su cui il film si sofferma, è la breve e silenziosa scena in cui alcuni coyote attraversano una strada deserta.

Come la città, anche la colonna sonora, marcatamente jazz, si rivela poliedrica, viva, agitata e multiforme. Più di un semplice commento musicale di sottofondo, è parte integrante del film nel raccontare la sfaccettata Los Angeles delle discoteche per magnati coreani, dei locali jazz per i neri senza un futuro, degli appartamenti nei casermoni per i delinquenti ispanici: ai brani originali di James Newton Howard, celebre compositore, si affiancano pezzi di scatenata musica metal alternativa, improvvisazioni di tromba in omaggio a Miles Davis, e persino una versione jazz della "Aria in re maggiore dalla suite nº 3" di Johann Sebastian Bach.

Tom Cruise rinuncia per un volta al suo divismo, vestendo con efficacia i panni di un "cattivo": come già osservato per "Operazione Valkiria", ciò gli consente di sfruttare al meglio il naturale distacco vagamente snob che caratterizza la sua parlata. Oltre ai due attori protagonisti, vale la pena di citare la presenza di Javier Bardem nel ruolo del narcotrafficante Felix, di Mark Ruffalo nel ruolo del detective Fanning (che paga la propria umanità e tenacia con la vita) e infine di Jason Statham, che qui fa una breve e curiosa apparizione nei panni di Frank Martin, il suo personaggio nella serie di film "Transporter".

Nessun commento:

Posta un commento