"Chernobyl" (2019) è una miniserie televisiva in cinque parti ideata da Craig Mazin e diretta da Johan Renck. Universalmente acclamata per la sua magistrale fattura, racconta la
storia dello spaventoso disastro della centrale nucleare di Černobyl'
che ebbe luogo nel 1986 in Ucraina, in quella che all'epoca era l'Unione
Sovietica.
Con una regia fredda e analitica, e una narrazione
metodica e controllata, questa miniserie segue le vite dei sovietici che
all'epoca causarono il disastro, o ne subirono gli effetti, o
combatterono per fermarlo prima che travolgesse due continenti,
trasformandoli in terre morte.
A più di trent'anni di distanza da
questi eventi storici, lo spettatore è colto dalle vertigini
nell'assistere al dispiegarsi progressivo della catastrofe, all'ottusità
dei burocrati coinvolti, alla pochezza dell'ideologia e
dell'opportunismo che portarono alla costruzione di impianti
tecnologicamente difettosi, all'eroismo delle persone comuni che si
sacrificarono in numeri impensabili per sventare un disastro
esponenzialmente peggiore, all'inadeguatezza delle strutture di
prevenzione (pressoche inesistenti) e all'improvvisazione delle misure
di sicurezza e tecnologiche per tenere a bada il mostro nucleare.
Ancora più spaventoso, per lo spettatore che era già vivo all'epoca, è
rendersi conto di quanto l'umanità ignara si sia spinta sull'orlo
dell'abisso, in quei giorni: il trauma non è immediato, perchè
(nonostante la conoscenza storica dei fatti) lo spettatore sa che il
disastro è stato sventato, e si culla in un falso senso di sicurezza,
che durante la visione della miniserie si sgretola progressivamente e
impietosamente, come conseguenza delle spiegazioni scientifiche e
tecniche che gli vengono fornite a poco a poco. La narrazione è serrata,
senza tempi morti, ma non frenetica: c'è il tempo per far sedimentare e
metabolizzare dalla mente la colossale gravità dell'accaduto, grazie
alla bilanciata alternanza di storie umane, di esposizione
ingegneristica e fisica, di propaganda politica, di giochi di potere, di
ricostruzione storica. Il vero terrore nasce quando la visione di uno
degli episodi ha fine, e la mente ha modo di rielaborare quanto appreso,
andando oltre le terrificanti eppure irresistibili scene con effetti
speciali che riescono a "visualizzare" la devastante potenza
distruttrice della radiazione invisibile che sprigiona dal nucleo
scoperchiato (se si escludono i pochi secondi di inquadratura del nucleo
scoperto, la colonna di luce generata dall'aria ionizzata e la caduta
dell'elicottero che si sfascia letteramlente, il resto è lasciato quasi
esclusivamente a un penetrante e sottile effetto sonoro).
L'angoscia per quanto accaduto si manifesta all'improvviso, in modo
soffocante, partendo dalle cose più piccole (il pompiere che si ustiona
raccogliendo un blocco di grafite contaminata) e arrivando fino alla
prospettiva di una successiva esplosione dei serbatoi idrici della
centrale che avrebbe disperso il materiale fissile su metà del
continente, contaminando acqua, terreno, aria per estensioni
inconcepibili).
E non c'è fine a questa spirale di terrore,
perchè anche quando la narrazione giunge al punto in cui la catastrofe
viene sventata, ci sono ancora le conseguenze della contaminazione a cui
fare fronte, oltre che il tragico destino degli eroi (inconsapevoli o
volontari). E ancora oltre, con quello che è un pugno nello stomaco
finale, c'è la ricostruzione processuale delle cause che portarono al
disastro: cause come l'ambizione e l'avidità di persone piccole e
incapaci che avevano raggiunto posizioni di responsabiltà e potere non
per merito e competenza, ma per astuzia e cinismo.
Ed è la cosa peggiore di tutte, perchè in quel momento lo spettatore si rende conto che la miniserie non sta raccontando semplicemente le storture dell'apparato stalinista dell'URSS, ma il problema di fondo delle società umane, a qualunque latitudine: dov'è infatti la differenza tra la malagestione di Chernobyl e ciò che succede ogni giorno (esempio assolutamente a caso) nel collasso sistematico del trasporto ferroviario della regione Lombardia, o nel sistema sanitario nazionale italiano?
Ed è la cosa peggiore di tutte, perchè in quel momento lo spettatore si rende conto che la miniserie non sta raccontando semplicemente le storture dell'apparato stalinista dell'URSS, ma il problema di fondo delle società umane, a qualunque latitudine: dov'è infatti la differenza tra la malagestione di Chernobyl e ciò che succede ogni giorno (esempio assolutamente a caso) nel collasso sistematico del trasporto ferroviario della regione Lombardia, o nel sistema sanitario nazionale italiano?
Nell'orrore senza fine di questa tragedia, si muovono i protagonisti,
cui gli autori si sforzano di dare quasi sempre un volto umano: dal
tormentato scienziato Legasov (Jared Harris) allo spigoloso commissario politico
Shcherbina (Stellan Skarsgård), passando per la fittizia Khomyuk (creata per rappresentare
la comunità scientifica che supportò Legasov) e l'ignorante Ludmilla
(che perde il figlio in grembo perchè non riesce neppure a capire che
suo marito sta morendo di avvelenamento radioattivo). Solo con i
personaggi di Djatlov, Bryukhanov e Fomin (i dirigenti della centrale di
Chernobyl) gli autori prendono una drastica presa di posizione di tipo
manicheo, per dipingerli come la peggiore feccia dirigenziale possibile,
spingendo lo spettatore a chiedersi se davvero possano essere esistite
persone così ottuse e potenti (ma anche qui, come nel caso citato prima,
la nostra stessa società ce ne dà generosamente esempio). Resta
ovviamente la consapevolezza che la miniserie ha romanzato quel che
poteva, e in certi casi ha scelto di sposare una specifica versione dei
fatti, sebbene ne esistano altre che contrastano tra di loro (ma di
nuovo, quella più cinica è probabilmente quella vera).
Nel finale, ma solo in quello, anche
senza edulcorare troppo la componente narrativa romanzata, gli autori si sforzano in
ogni caso di regalare un certo grado di consolazione allo spettatore, in
parte mostrando la condanna unanime che piovere sugli spregevoli
dirigenti, in parte con la crescita emotiva dei "buoni" Legasov e
Shcherbina e con il loro momento catartico finale, senza contare
l'importante accento su come questo diasastro abbia anche segnato la
fine dell'Unione Sovietica.
Inquietantemente, un pensiero residuo
aleggia dietro tutti gli altri: cosa ha davvero visto il tecnico che
morì all'istante, quando dal pavimento della sala del nucleo si
sollevarono contemporaneamente tutte le barre di controllo, spinte dalla
incommensurabile pressione cresciuta senza controllo nell'impianto di
raffreddamento? La risposta data dalla miniserie è visivamente
spettacolare, tanto da far quasi invidiare chi vi potette assistere e fu
subito dopo spazzato via dall'esistenza, senza patire le atroci
sofferenze dei sopravvissuti.
Nessun commento:
Posta un commento