lunedì 29 agosto 2022

Il peccato - Il furore di Michelangelo (2019)

"Il peccato - Il furore di Michelangelo" (2019)
, scritto e diretto da Andrej Končalovskij, è un film storico e drammatico del 2019 basato sulla vita di Michelangelo Buonarroti.

Nato nel 1475 e morto nel 1564, Michelangelo, l'artista al centro di questa pellicola, fu uno dei protagonisti dell'epoca del Rinascimento italiano, come scultore, pittore, architetto e poeta. E' proprio sulla sua fase di scultore che il regista/sceneggiatore di questo film si concentra, pur non mostrandoci mai Michelangelo all'opera: al regista/sceneggiatore Končalovskij, infatti, interessa soprattutto esplorare la sua complessa personalità, nonché l'ambiente politico-economico-sociale in cui si muoveva, dai Papi ai potenti delle famiglie dei Medici e dei Della Rovere, fin giù agli umili cavatori del marmo.
In entrambi gli ambiti, a dominare sono i fattori del caos, dell'avidità e dell'inaffidabilità: le famiglie Della Rovere e Medici, per il potere e per la gloria, si fanno guerra con ogni mezzo, e usano lo stesso Michelangelo, trascinandolo nelle loro trame; Michelangelo, a sua volta sempre a caccia di denaro ma anche ossessionato da questioni religiose (per non dire del testo della Divina Commedia di Dante Alighieri), è tanto vittima dei potenti (specialmente i Papi) quanto manipolatore, specialmente per aggiudicarsi nuove commesse, anche a danno dei suoi colleghi e amici (compaiono anche Raffaello Sanzio e Jacopo Sansovino), e incassare finanziamenti da spendere in ben altri modi.
Il quadro dell'epoca Rinascimentale che dà il regista è rappresentato dalle scene di città in cui secchiate di liquami organici volano in strada dalle finestre, senza curarsi dei passanti: un'epoca di sporcizia, tradimento, grettezza, egoismo e indifferenza (la matrice, potrebbe dire Valerio Evangelisti, della società neoliberista; non a caso, anche i rapporti umani, su qualunque gradino della scala sociale, sono improntati al conflitto, all'aggressività, alla prevaricazione e a una fondamentale povertà di empatia). Specularmente, questa è è anche la caratterizzazione della personalità di Michelangelo; di fronte al caos della sua vita, del suo lavoro, dei suoi rapporti personali e della sua mente, si stenta a capire dove siano il suo genio e il suo talento, in questo film, se non quando ci vengono mostrate le sue opere finite (o le reazioni entusiastiche dei suoi committenti o dei suoi discepoli).
Tramite la fulminea rappresentazione della tensione di Michelangelo verso un inconoscibile ideale, descrittaci dalle sue bizzarre visioni a tema religioso (la morte di Papa Giulio II in un palazzo deserto, frustato dal vento, con un angelo al suo capezzale; la stessa comparsa di Dante Alighieri davanti a Michelangelo in un luogo montuoso che potrebbe essere l'ingresso degli Inferi, o forse l'uscita), il regista sembra indicare che la chiave di letture principale del film è la contraddizione dell'emersione del sublime (la bellezza delle sculture di Michelangelo) dall'orrendo e lurido contesto della sporcizia non solo fisica della società del Rinascimento, nonché dal miasma terribile di passioni e ossessioni che affollano la mente dell'artista: il risultato, cioè opere come il suo Mosè, costituisce la vittoria di Michelangelo nella lotta non contro il suo mondo, ma contro se stesso.

La narrazione di questo film della lunghezza di due ore è piuttosto placida, dando a volte l'impressione di perdersi in divagazioni e dettagli di scarso interesse, come se il montaggio fosse stato eseguito un po' precipitosamente, realizzando malamente la rimozione di sequenze e trame secondarie dedicate ai personaggi minori.
La regia, adeguata a questo passo narrativo, è abbastanza anonima e piatta, ma si distingue quando sguazza, letteralmente, nel sudiciume, da quello personale di Michelangelo (sempre troppo preso dal lavoro per lavarsi) a quello summenzionato dei liquami e scarti fecali delle città, in netto contrasto con il feroce candore delle smisurate cave di marmo e la purezza immacolata delle altere catene montuose e dei panorami campestri (dove però arrivano immancabilmente gli esseri umani a portare la loro contaminazione).
Visivamente, la lunga sequenza ambientata nella cava di marmo da cui Michelangelo ottiene l'enorme blocco unico chiamato "il mostro" è quella che resta più impressa allo spettatore, probabilmente per la descrizione della dura vita dei poveri cavatori che rischiano la morte per estrarre il marmo con cui i ricchi si autocelebrano in città, pur non essendo in definitiva molto diversi da loro (in entrambi i casi, è sempre il denaro a muovere tutto). Non è certo un caso, nell'ottica del regista, che questa sequenza abboa l'onore della locandina: paradossalmente, è anche quella in cui Michelangelo è meno protagonista.

Gli attori, di varia nazionalità, sono quasi tutti ragionevolmente sconosciuti (ma c'è Orso Maria Guerrini nel ruolo del ributtante marchese Malaspina) che si impegnano a fondo, secondo le loro possibilità. Alberto Testone, nel ruolo di Michelangelo, rende a dovere la visione che il regista ha di Michelangelo, dipingendolo come una mente visionaria rinchiusa in una prigione di carne e disturbi mentali che la ancorano a terra, facendo di tutto per impedirle di esprimersi.