domenica 13 ottobre 2019

"Spider-Man: Homecoming (2017)

Nell'Universo Cinematografico Marvel (MCU), il sedicesimo film è dedica all'Uomo Ragno, la cui vicenda viene riavviata (filmicamente parlando) per la seconda volta, proponendoci un Peter Parker e una zia May doppiamente più giovani (al prossimo riavvio avremo lui all'asilo e lei adolescente?).


 "Spider-Man: Homecoming" (2017), diretto da Jon Watts, ha fatto i compiti, ovviamente, e quindi, dopo essere andato faticosamente a ripescare un supercriminale cinematograficamente inedito (e non proprio memorabile) come l'Avvoltoio, imbastisce una onesta e solida trama basata sulla sequenza di "stato di grazia - caduta in disgrazia - redenzione e rinascita", vista un'infinità di volte nei fumetti di qualunque eroe urbano (Daredevil in testa).
 Tutto è narrato con scrupolo e diligenza, e la serietà di certe tematiche viene subitaneamente e implacabilmente alleggerita da siparietti umoristici obbligatori che buttano tutto nel dimenticatoio, facendo ridere spensieratamente il pubblico prima che qualcuno si soffermi a pensare troppo (Adrian Toomes è un piccolo imprenditore che diventa l'Avvoltoio dopo essere stato schiacciato dal dipartimento governativo Damage Control, che manco si degna di rimborsarlo, e le Stark Industries non fanno una piega in merito, anche perchè comunque Toomes poi si dimostra cattivo dentro, e quindi l'Uomo Ragno lo ferma e lo sbatte in prigione; ma che ne è dell'abuso perpetrato da Damage Control? Spiacente, belli, non è roba di cui si occupano i supereroi).
 L'aspetto tecnologico è come sempre estremizzato e futurista, tanto che il nuovo Uomo Ragno è poco più di una versione adolescente di Iron Man, grazie al suo costume integrato con tecnologia sufficiente per fare di tutto: gli autori hanno cura di sottolineare la faccenda del grande potere e delle grandi responsabilità,costringendo Peter Parker a fare da solo e cavarsela con la propria forza e basta (in una scena in cui si libera dalle macerie che è una meticolosa citazione di un classico episodio a fumetti dell'epoca di Stan Lee e Steve Ditko), ma alla fine non resistono all'onda modaiola, e gli restituiscono il suo costume futuristico, pur relegandolo al ruolo di supereroe di quartiere, vicino alla gente comune.
 Curiosamente, il film ignora bellamente il costo di queste celebratissime tecnologie, basate notoriamente su metalli e "terre rare" che vengono estratti devastando l'ambiente e le vite di intere popolazioni del terzo mondo, dove lo sfruttamento delle risorse minerarie coincide con lo sfruttamento più spietato delle esistenze di poveracci che passano la loro breve vita a faticare spaventosamente nelle miniere, salvo poi morire di avvelenamento e malattie correlate. Nello stesso tempo, però, il film si assicura che la maschia guerriera della "social justice" di turno metta in chiaro che l'obelisco di Washington fu costruito da schiavi e non va celebrato: logicamente, costei si indigna e denuncia ciò che è morto e sepolto da secoli, ma dell'ingiustizia degli schiavi moderni non le importa nulla. Sarà mica perchè, senza gli schiavi moderni, la gente come costei, che imperversa su piattaforme informatiche come twitter e tumblr per combattere il patriarcato maschio bianco, non potrebbe godersi il privilegio della sua fichissima tecnologia, dallo smartphone allo smart-qualunque-altra cosa che indossa, e senza la quale non potrebbe vivere? Evidentemente, questa tizia se ne fa una ragione: lo sfruttamento di quei poveretti è un male necessario per garantirle il suo stile di vita, esattamente come ragionavano gli schiavisti di secoli fa. A indignarsi per l'ingiustizia quotidiana in corso sotto il suo naso sprezzante, ci penseranno i suoi discendenti, fra qualche decennio.
 Desolanti e inette ipocrisie modaiole a parte, il film conferma la campagna cancellazionista che è da tempo in corso contro i comprimari irlandesi nei fumetti di supereroi: dopo personaggi come Wally West e Jimmy Olsen, a subire una cancellaazione etnica sono Flash Thompson e Mary Jane Watson (ma costei in modo anagraficamente contorto e cervellotico come le perorazioni dell'avvocato Ghedini Niccolò sugli "utilizzatori finali di prostitute").

 Curiosamente, dopo decenni di fumetti in cui gli "esperti di vendite" della casa editrice lottavano per rimuovere la vergognosa esistenza della continuità (chiamata continuity in Italia per motivi incomprensibili), accusata di spaventare gli inebetiti lettori occasionali, anche questo film del MCU prospera proprio sullo stesso abietto concetto, dato che le sue frenetiche premesse consistono in un convulso riassunto degli eventi del film "The Avengers" del 2012: che è successo agli esperti di cui sopra? E come si spiegano gli editori di fumetti che la gente che va al cinema riesca a tollerare un film contenente riferimenti a un film di cinque anni prima senza alzarsi e abbandonare la sala, dando nel frattempo fuoco alle strutture della sala cinematografica, vandalizzando il botteghino e il bar?

 Ma stavamo parlando di "Spider-Man: Homecoming": come tutti i film dell'Universo Cinematografico Marvel, anche questo è confezionato con cura nella regia, negli effetti speciali, nei dialoghi, nella recitazione, nel realismo urbano di una affollata ed estesa (ma stranamente linda) New York, della magniloquente colonna sonora, eccetera eccetera. Perchè, invece di tutto ciò, mi restino in testa certi "difetti" che sono ristretti a pochi e brevi momenti della narrazione, è questione da considerare.

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