"Akira" (1988), scritto e diretto da Katsuhiro Otomo, è un film fantascientifico d'animazione nipponico dio elevatissima qualità grafica, che ha contribuito in modo decisivo a rendere popolare l'animazione giapponese in tutto l'Occidente. E' l'adattamento di un manga dello stesso Otomo, con trama e finale ampiamente rielaborati.
Alzi la mano chi tra i miei coetanei non lo pronuncia "Akìra" quando sarebbe da pronunciare "àkìrà", per colpa della pronuncia del nome dell'omonimo personaggio umano del cartone "Devilman" nel doppiaggio italiano dell'epoca.
Nonostante io non sia mai stato
un fan dei protagonisti iniziali (una banda di giovani scapestrati,
imbottiti di droghe, senza futuro, senza cultura e senza ambizioni),
nonostante abbia detestato sin dall'inizio l'ambiguità con cui il
non-protagonista (Kaneda) viene presentato come un eroe motorizzato e
iconico quando invece è solo un grandissimo bluff spinto esclusivamente
dall'ostinazione, nonostante la stranezza dell'equivoco di chi pensa che
Kaneda sia in effetti Akira, nonostante la nausea degli ennesimi
"orfani" ("Saint Seiya" docet, dato che tutti e 90 gli orfanelli-guerrieri iniziali sono figli del vecchio Kido), nel caso di "Akira" basta un
piccolo sforzo per vedere oltre questa cortina commerciale con cui
l'autore Katsuhiro Otomo si adeguava superficialmente agli stilemi
dell'epoca, per poi confezionare una narrazione cyberpunk
post-apocalittica che parlava invece del futuro della società in modo
adulto.
La manipolazione genetica senza limiti, la violazione di
qualunque confine etico nel nome di Prometeo, l'abuso di potere e
responsabilità attuato da una politica sempre più burocratica e miope,
la corruzione liberista della politica stessa, il contrasto interno dei
poteri fondamentali di uno stato e la conseguente tentazione golpista
del potere militare (per cui Otomo qui sembra parteggiare), la
spersonalizzazione di una società sempre più sovraffollata dove i
reietti vengono gestiti dall'elite dominante tramite l'elemosina del
minimo necessario per tenerli in vita senza provare senso di colpa.
Tutto questo è declinato in un film animato e diretto con una qualità e
un impegno e una ricchezza tali da renderlo praticamente senza tempo
(persino i telefoni a gettoni, così anacronistici per la nostra linea
temporale, in quel loro futuro divergente hanno una logica), ma
soprattutto è ampiamente dissimulato in una cornice narrativa che
concede un enorme spazio all'azione più frenetica, spostandola dalle
trascinanti guerre tra bande di motociclisti dotati di moto ovviamente
futuristiche a scene di battaglie telecinetiche e ipertecnologiche,
coinvolgendo persino cannoneggiamenti orbitali, e chiudendo infine con
la più classica delle mostruosità giapponesi, e cioè lo scontro con un
Kaiju come mai se ne erano visti prima in termini di ripugnanza del
corpo della creatura e realismo nell'illustrarne l'abominevole
proliferare di organi.
E' sorprendente, rivendendo "Akira" dopo
molti anni, scoprire la pervasiva e sottile influenza che ha esercitato
su successivi prodotti divenuti a loro volta memorabili. La caduta dei
colossali cavi della sfera criogenica contenente Akira, e la sfera
stessa che emerge dalle nubi, non sono forse fin troppo simili
all'umbilical cable che si contorce in "Neon Genesis Evangelion" (1995),
e all'ascesa della Luna Nera di questo stesso universo animato?
E,
ancora più incredibile, ma forse anche forzato: il trono olimpico su cui
siede Tetsuo allo stadio, non è singolarmente simile al trono su cui
siede il divino Abel in "Saint Seiya: La leggenda dei guerrieri
scarlatti" (sempre 1988) poco prima di morire?
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