martedì 7 gennaio 2020

"Maryland" (2015) - "Disorder - La guardia del corpo"

"Maryland" (2015), in Italia "Disorder - La guardia del corpo", diretto da Alice Vinocour e scritto da lei con Jean-Stéphane Bron, è un film belgo-francese in bilico tra nero, lo psicologico e il sociologico, nascosti dietro la facciata del thriller senza azione.


 Vincent, soldato dei corpi speciali francesi, soffre di disturbi post-traumatici che spingono i medici a negargli di partecipare ad altre missioni. Impiegatosi contro voglia sulla Costa Azzurra, come guardia del corpo della moglie di un ricco affarista libanese, si ritrova a fronteggiare una serie di tentativi di rapire la donna, mentre tiene a bada i crescenti disturbi che lo affliggono.

 Tecnicamente ben eseguito per la distaccata regia e la limpida fotografia, il film è diretto e scritto da una regista che mostra una certa ambizione stilistica nel voler costruire un'algida e impersonale narrazione incentrata quasi esclusivamente sulle immagini, trattando in modo quasi documentaristico il tema del disordine mentale nella vita "civile" dei soldati reduci.

 Ansiosa di raccontare la psicologia di un uomo come la racconterebbe un uomo, ma nello stesso tempo decisa a evitare tutti gli stereotipi hollywoodiani del film d'azione (azione che, infatti, è fortuntamente assente se non in pochissime scene di crudo realismo), la regista mette in scena il classico personaggio del colosso forte, silenzioso e un po' cupo, che affronta i propri problemi da solo, senza mai farne parola con anima viva, sforzandosi di tenerli sotto controllo con la medicina e la volontà: questo stereotipo, sebbene trattato senza giungere agli sviluppi più ovvi e beceri (il soldato che impazzisce e fa una strage), insieme a una sceneggiatura apparentemente un po' lenta, e alla suddetta regia fredda e lontana, finisce per respingere lo spettatore più impaziente, che non riesce a capire dove voglia andare a parare il film.
 La risposta a questa domanda non è immediata neppure per chi invece ne accetta la tecnica narrativa, e si lascia conquistare dalla sottile ma costante tensione visiva che si innerva per tutta la pellicola con la forza tipica del "non detto", e scorre letteralmente sotto la pelle del protagonista, il quale sembra sempre sul punto di cedere alle pressioni psicofisiche della sua malattia e a dare sfogo a una follia terribile su coloro che dovrebbero proteggere.
 Questo percorso si sviluppa in parallelo a quello professionale di Vincent, che svolge il proprio lavoro con ammirevole efficacia, a volte vittima di allucinazioni e trattato con scetticismo dai colleghi, più spesso costretto a da affrontare stoicamente individui mascherati in carne e ossa, che tentano di rapire la donna da lui protetta, e sempre senza mai un gemito di dolore nonostante le ferite e le batoste riportate.
 Credibile nella sua violenza cruda e non compiaciuta, credibile nelle tattiche adottate e nella prontezza di riflessi, credibile nelle conseguenze fisiche e psicologiche dei suoi disturbi, Vincent risulta caratterizzato in modo esagerato e sopra le righe solamente per via del suo ostinato silenzio, che va ben oltre la difficoltà di comunicare di un reduce militare.
 E' comunque questa sua situazione a portare alla catarsi finale; una catarsi introspettiva, fortemente anticlimatica, che mette in difficoltà gli spettatori in attesa di sviluppi più clamorosi: sempre arroccato nella sua solitudine, Vincent diventa consapevole che i suoi amici sanno della situazione che lui cerca di occultare, e tragicamente è costretto a rendersi conto di non poterla controllare, quando cede a una violenza sfrenata proprio davanti alla donna con cui sognava di iniziare una vita, proteggendo lei e il figlio.
 Ed è su questa amarissima nota di consapevolezza/illuminazione che si chiude il film, con Vincent che sceglie di restare solo con le proprie allucinazioni, ancora una volta senza chiedere aiuto, per il bene della donna (che pure sembrava finalmente voler quasi ricambiare) e del figlio di lei.

 Matthias Schoenaerts si cala con convincente intensità nel ruolo del nerboruto soldato silenzioso (ma sensibile), soggetto ad allucinazioni e dipendente da ansiolitici, prono a ira inconsulta ma nello stesso tempo affidabile e protettivo. Come da intenti della regia, Schoenaerts si muove sul filo del rasoio, dando l'impressione che il suo personaggio potrebbe in ogni momento rivolgersi contro gli stessi che vuole proteggere, ma rivelando anche il timido e impacciato desiderio di relazionarsi con gli altri (attratto dalla donna che protegge, ma sempre rigorosamente rispettoso; paterno con il figlio di lei, ma a volte troppo autoritario, come se emergesse il ricordo di una figura paterna scomparsa troppo presto).
 Diane Kruger, nel ruolo della bella moglie (oggetto?) del ricco libanese (decisamente pià anziano di lei), interpreta con fatica (e lesinando i dialoghi) un personaggio confuso e contraddittorio, che forse neanche lei sa come gestire, perchè sembra quasi cucito su misura per indurre certe reazioni nel protagonista: bella, giovane, moglie di un magnate, è inspiegabilmente senza amici, inutilmente fredda od ostile, incapace di godersi il benessere in cui è immersa, priva delle ambizioni che ci si aspetta in una donna arrivata a quel livello sociale, a volte ingenuamente ignara della situazione in cui si trova e a volte palesemente complice dei traffici criminali del marito (un mercante d'armi, si scopre in seguito) ma del tutto priva di motivazioni per una simile scelta.
 Gli altri attori interpretano tutti ruoli  minori, conferendo ancora una volta un aspetto anomalo di particolare interesse a questo film che riesce a raccontare la propria storia con un numero di attori da pezzo teatrale.

 Come la regia, anche la colonna sonora è minimale e si concentra a sua volta sul solo protagonista, escludendo tutti gli altri punti di vista: le musiche e i suoni sono quelli ambientali, o quelli metaforici che risuonano nella sua mente quando si scatenano le sue presunte turbe psichiche, e che confondono lo spettatore stesso, impedendogli di distinguere tra paranoia ed effettivo pericolo, finchè non è troppo tardi.

Il "Maryland" del titolo originale è il nome della villa sulla Costa Azzurra dove si svolge gran parte del film. La versione italiana è il solito affastellamento ridicolo di tutte tematiche del film in inglese e in italiano, per far capire agli spettatori tutto subito.

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