giovedì 5 dicembre 2019

"Savages" (2012) - "Le belve"

 "Savages" (2012), in Italia "Le belve", di Oliver Stone, è un appassionato, vitale e sensuale film drammatico, d'azione, romantico e altro ancora, trascinante nella sua aggressiva narrazione e travolgente nella focosità che anima tutti i personaggi.

Scheda di "Savages" su wikipedia

 Nella idilliaca cittadina di Laguna Beach, in California, due giovanotti (un veterano della guerra in Iraq e un fricchettone pacifista e idealista), amici per la pelle, amano la stessa seducente donna, e tutti insieme gestiscono felicemente un'impresa di coltivazione e vendita di marjuana di qualità sopraffina.  Nella loro esistenza da sogno irrompe la violenza spietata e sanguinaria del cartello della droga messicano di Baja, che vuole annettersi la loro impresa. I due giovanotti, però, sanno a loro volta mordere, per via dei legami con altri ex soldati e con un agente della CIA tanto corrotto quanto abile a mantenere duplici rapporti con tutte le fazioni in gioco: ne scaturisce una sanguinolenta spirale di brutalità, inganni, attacchi, contrattacchi, tradimenti, sequestri, cambi si alleanza e ricatti che travolge tutti, mettendo a nudo le loro anime, e sfociando in un doppio epilogo di morte e di vita.

 Crudo, secco, lucido e gelido, "Savages" è un film affascinante nel suo ribollente caos narrativo che mescola ingredienti apparentemente eterogenei, ma cela invece una controllata metodicità creativa, con la quale il regista vuole analizzare il mondo attuale e riflettere sulla sua eterna dualità tra ciò che è e ciò che si vorrebbe che fosse, tra idealismo e pragmaticità, tra speranza e cinismo.
 Carnalità, passionalità, istintualità: è questo il magma primevo di emozioni elementari che motiva e muove tutti i personaggi, anche quando essi si sforzano di rivestirle con la patina della civiltà e della razionalità (memorabile e simbolica è Salma Hayek, quando si strappa la perfetta parrucca della sua "immagine" di madrina del cartello dei narcotrafficanti). Proprio in questa caratteristica sta la chiave di lettura del film: come già detto, sotto lo strato vorticante di intrighi e passioni, apparentemente rimescolati in un marasma informe, si cela una ragionata struttura di simmetrie, specularità e duplicità, che invitano all'analisi della realtà cercando la propria chiave di lettura (non è un caso che, a inizio film, il prosaico ex-soldato Chon spieghi che la droga è l'unica risposta razionale a una realtà impazzita).
 Come le proverbiali medaglie, tutti i personaggi hanno infatti due facce, in forte contrasto tra di loro; allo stesso modo, le due ambientazioni del film (il cupo e sotterraneo Messico di scantinati, celle e torture; la solare e paradisiaca California di spiagge, vegetazione e belle abitazioni) sono le facce di una stessa realtà, indissolubilmente interconnesse, i cui stili di vita così diversi improvvisamente e continuamente si capovolgono nel loro opposto; hanno un bel dire i critici sul presunto manicheismo di Oliver Stone nel raffigurare queste due realtà come contrapposte, perchè la vera intenzione della sua opera è molto diversa e chiara: si tratta di una sintesi dei due mondi, basata sull'idea che uno non può esistere senza l'altro.
 Duplice è anche lo stile registico, che passa dal montaggio frenetico, quasi da videoclip, a momenti di calma in bianco e nero.
 Duplice è il ruolo della notevole Blake Lively: come voce narrante, rivela una saggezza e una visione profonda della vita e dei personaggi; come personaggio della storia, di cui la voce narrante è il monologo interiore proveniente da un prossimo futuro, è invece una sensuale ochetta bionda, viziata e frivola.
 I suoi amanti, Ben e Chon, oltre che essere due grandissimi amici (e forse amanti tra di loro, lascia intendere la sceneggiatura), non solo mostrano connotazioni caratteriali antitetiche (Ben, l'idealista e benefattore, diventa uno spietato "mediatore" col cartello, dopo aver ammazzato una persona per la prima volta), ma formano essi stessi le due facce di una sola medaglia, uniti e contrapposti come sono (pacifico e diplomatico Ben; soldato disincantato e violento Chon).
 L'elenco di duplicità continua con i principali antagonisti: la madrina Elena e il suo scagnozzo Lado del cartello del narcotraffico sono tanto spietati e sanguinari nel trattare i loro affari criminali quanto nel difendere la propria famiglia e i propri valori, per i quali provano un sentimento primordiale che li spinge ad atti estremi (anche di sacrificio personale).
 E duplice è anche e soprattutto il finale del film, che non anticiperemo in questa recensione, ma che conferma in maniera estremamente esplicita la chiave di lettura della dualità (esso può far infuriare chi invece si è fermato allo strato superficiale di quest'opera e si sente quindi preso in giro, credendo che si tratti di una "autoriale" imitazione dell'opera di Quentin Tarantino da parte di un regista che vuole marcare il territorio affermando di essere arrivato per primo).

 Rimarcata sin dal titolo (i "selvaggi" del titolo originale sono infatti questione di prospettiva: per i californiani, la violenza omicida e torturatrice dei narcotrafficanti messicani è roba da selvaggi; per i messicani, i liberi costumi sessuali del terzetto californiano sono roba da selvaggi), l'ambivalenza delle due culture in conflitto è imperniata sulla diversa mentalità di fondo, mai esplicitata, ma sottesa frequentemente nel film tramite immagini ricorrenti.
 Se, da un lato, il terzetto di giovani californiani celebra la vita vivendola in tutta la sua bellezza ed esuberanza, dall'altro i messicani praticano e attuano il culto sudamericano della Santa Muerte, la cui sinistra presenza si dipana per tutto il film nella forma di feticci scheletrici della dea.
 Dalla Wikipedia:  Nuestra Señora de la Santa Muerte, o semplicemente Santa Morte, è una divinità messicana di origini pre-colombiane, con un culto di una decina di milioni di adepti in Messico e nelle altre aree ispanofone dell'America Latina. Deriva dalla dea azteca della morte Mictecacihuatl; è raffigurata come uno scheletro abbigliato nello stile delle donne dell'Europa medievale, come le statue delle sante della religione cattolica.
 Simili icone appaiono più volte nel film: ce n'è una sull'auto dello scagnozzo Lado; c'è un'edicola votiva davanti al parcheggio in cui Chon e Ben consegnano la "merce" agli uomini del cartello; ci sono le maschere usate dai boia messicani del cartello per giustiziare i traditori e i nemici.
 E ci sono infine le maschere indossate brevemente (ma divenute un'icona del film) da Ben e Chon quando decidono di contrattaccare usando gli stessi metodi del cartello: il loro gesto, inutile sotto l'aspetto logico (la loro identità è già nota, e come se non bastasse, i due si smascherano davanti a una telecamera), è però la conferma finale della visione del regista; Ben e Chon adottano la mentalità messicana per reclamare il proprio stile di vita californiano, e si trasformano fisicamente con le maschere, incarnando leteralmente l'intercambabilità delle due culture e rivelandone l'inestricabile unità.
 La cotaminazione funziona anche al contrario: le comunicazioni dal cartello messicano a Chon, in tremendo contrasto con gli agghiaccianti contenuti delle chiamate (dai video di truculente decapitazioni alle immagini delle torture a cui è sottoposta la sfortunata "O"), sono precedute da una gioiosa e giocosa suoneria ("The Elephant Never Forgets" di Jean Jacques Perrey) che diventa il tormentone del film; ogni volta che il ritmo allegro, da luna park, di questa canzone si innesca, i personaggi cadono in un silenzio colmo di terrore, che si trasmette allo spettatore.

 E infatti, coerentemente con la volontà del regista, tutta la colonna sonora è variegata e molteplice, e spazia dalle sonorità latine agli strumenti elettronici, dal sensuale al fracassone, dal reggae al country, dal western al rap, in un continuo incontro tra classico e moderno che riflette il conflitto tra le due culture incapaci di accettare di essere una il riflesso dell'altra. Con  nomi come Bob Dylan, Peter Tosh, Massive Attack, Electric Light Orchestra, Thievery Corporation, John Taverner, e Gustavo Santaolalla, le musiche vanno dalla idilliaca liricità classica ai suoni sporchi, crudi e frenetici del rap ispanico, toccando sempre corde emotive profonde dello spettatore.
 Sul versante degli attori, la già citata doppia prestazione di Blake Lively è rimarchevole soprattutto per la differenza di toni con cui interpreta il suo personaggio (dall'evocativo nome di "O", iniziale mai esplicitata) in due diverse fasi della vita. In particolare, come voce narrante, l'attrice mostra il proprio talento nella maniera più efficace, interpretando i testi senza alcun bisogno di fae affidamento sulla propria avvenenza per convincere lo spettatore.
 I due protagonisti, Taylor Kitsch (Chon) e Aaron Taylor-Johnson (Ben), danno vita in modo competente e convincente a quelli che sulla carta erano lo stereotipo di yin e yang, cioè personaggi schematicamente contrapposti ma inseparabili come possono esserlo un ex soldato e un attivista per i diritti umani; ma, soprattutto, sono naturalmente credibili nello scolpire l'improbabile amicizia che li lega, grazie alla palese sintonia del loro sodalizio, che trapela da ogni scena recitata insieme.
 Benicio  Del Toro è letteralmente spaventoso, nel ruolo di "devoto" padre messicano ancorato ai valori di una volta, inumanamente brutale nel metterli in pratica quando svolge il proprio lavoro di assassino, torturatore e intrallazzatore, con una coerenza che lo rende ancora più alieno, nel suo incarnare una radicata mentalità primitiva, inattaccabile dalla modernità e ferocissima nel volersi preservare a ogni costo.
 Salma Hayek, spietata madrina a capo del cartello della droga, ma anche madre amorevole di una figlia che la respinge insieme al suo stile di vita, delinea una figura intensa, drammatica, quasi da tragedia greca nel suo tormento personale, capace di amare la famiglia fino al sacrificio personale, quanto di assistere imperturbabile alle torture più efferate su chi l'ha tradita.
 John Travolta, tra le celebrità e i protagonisti, è forse il meno convincente, perchè troppo caricaturale nell'incarnare un untuoso e subdolo agente dell'FBI che si lascia corrompere per fare la bella vita: anch'esso personaggio duplice, stretto tra i due fuochi dell'ambizione e delle disgrazie familiari, è coerente col disegno narrativo, ma non riesce a convincerci del tutto di essere un agente federale amareggiato, invece  che un agente immobiliare dalla parlantina zoppicante.
 

Nessun commento:

Posta un commento