mercoledì 25 dicembre 2019

The Curious Case of Benjamin Button (2008) - "Il curioso caso di Benjamin Button"

 "The Curious Case of Benjamin Button" (2008), in Italia "Il curioso caso di Benjamin Button", diretto da David Fincher, basato sull'omonimo racconto breve del 1922 di Francis Scott Fitzgerald, è un anomalo film in bilico tra il sentimentale e il fantastico.


 Alla fine della Prima Guerra Mondiale, nasce un bambino deforme che, già da neonato, presenta tutte le afflizioni corporee di un invecchiamento e un deteriormento corporeo che lo lasciano a un passo dalla morte. Allevato dalla governante di un ospizio, cresce credendosi un anziano come gli altri ospiti, ma col passare degli anni si rende conto che il suo corpo sta  ringiovanendo, come se fosse sotto l'effetto "simpatico" di un certo orologio della stazione ferroviaria, costruito perchè vada al contrario da un padre afflittto dalla perdita del figlio nella Prima Guerra. "Crescendo" al contrario, Benjamin esperisce la vita attraverso una prospettiva unica, intrecciando il proprio percorso con quello di persone che torneranno sempre da lui, in un modo o nell'altro, facendo sempre quadrare il cerchio della sua vita.
 La vicenda è raccontata dal diario di Benjamin, letto dalla figlia della donna che lui amò più di tutte, la quale giace ora in letto di morte, e sente il bisogno di riannodare l'ultimo filo sciolto della trama che è stata la discreta vita di Benjamin, svelandone la fine e il segreto che ella condivide con lui.

 Romanzo di formazione al contrario, questo film dallo svolgimento molto rilassato e meticoloso riesce a mantenere vivo l'interesse dello spettatore grazie a due elementi fondamentali: l'intrigante idea del personaggio che ringiovanisce col tempo, e il ricorrente cambio di scenario in cui il personaggio matura le proprie esperienze (dall'ospizio di New Orleans al bordello alla nave alla Russia e poi di nuovo a New Orleans e infine, chiudendo il cerchio, ancora all'ospizio).
 La narrazione sceglie un tono rassicurante, almeno in apprenza, evitando di puntare sul dramma in favore di un approccio minimalista e delicato. Il protagonista subisce naturalmente tutte le peripezie della vita e del cambiamento, ma non è ma travolto da grandi passioni, nè da tragedie sconvolgenti, neppure quando perde le persone che ama o la vita che desiderava. Andando oltre questo superficiale livello di lettura, si scopre un filone più amaro e malinconico che è la spina dorsale dell'intera narrazione e che ne spiega il ricorrente tono anticlimatico con cui si smorzano e ammorbidiscono ogni evento traumatico di distacco nella vita di Jeremy: l'allettante idea di ringiovanire col passare del tempo ha un suo prezzo, e implica una giovinezza capovolta in cui si costruiscono relazioni sociali diverse (vivendo in un ospizio, Benjamin è abituato a vedere morire chi gli sta intorno), nonchè una maturità negata in cui si rischia di fare da compagni di giochi ai propri figli, invece che da genitori. Benjamin vive esperienze memorabili, per quanto molto private, ma alla fine scopre di essere stato quasi uno spettatore dellla vita, e di aver ricevuto molto più di ciò che ha dato, da tutte le persone che hanno incrociato il suo cammino, tristemente destinato sempre a perderle, privo com'è della possibilità di invecchiare con loro. E' stata quindi una maledizione, la sua? Oppure è riuscito in ogni caso a vivere pienamente ciò che il caso gli ha assegnato, lasciando comunque una traccia di sè nella storia?
 Il doppio volto narrativo del film emerge anche nel contrasto tra la crudezza dell'arco narrativo del presente (in cui il grande amore di Benjamin sta morendo in ospedale, vecchia e malata) e la tonalità fiabesca del sottile elemento prodigioso (magico?) che connette i momenti cruciali della storia, dall'orologio che va all'indietro fino al colibrì che svolazza in luoghi impossibili, per accompagnare i personaggi nell'aldilà (come se si trattasse di un animale psicopompo). E' comunque un contrasto solo apparente, che si risolve come si è risolta anche la vita di Benjamin, con una struggente nota di malinconico abbandono che è anche promessa di riunione.

Di grande fascino e interesse è anche l'ampia corte di comprimari che entrano ed escono dalla vita di Benjamin, sempre all'insegna di una grande umanità di fondo e di una forte connotazione storico-sociale: dall'anziana che gli insegna a suonare il pianoforte e ad apprezzare i propri cari, alla malinconica moglie di un ministro britannico che diviene sua amante, alla governante dell'ospizio che lo adotta e lo cresce, ai marinai della sua nave, fino al padre che lo ritrova e si fa perdonare per averlo abbandonato.

Può essere considerato epico, un film che sceglie invece deliberatamente una narrazione estremamente intimista concentrata quasi unicamente sulla dimensione privata dei personaggi? Curiosamente, sì: nel ripensare alle innocue peripezie di Benjamin, quasi una formica che tira a campare ai margini del grande fiume della storia, rivivendo tutti i momenti che hanno dato valore alla sua esistenza, ci si accorge di quanto la sua surreale esistanza sia stata, in modo assai atipico, titanica.

 La recitazione di Brad Pitt e Kate Blanchett, che sembrano fare a gara nell'essere il più genuinamente "del Sud degli Stati Uniti" per accento e filosofia di vita, è contenuta e tranquilla, come lo è la regia, ariosa e solenne nel raccontare le piccole vite di questi anonimi personaggi, che attraversano pacatamente la storia prendendo atto dei suoi grandi momenti (come la Seconda Guerra mondiale o l'esplorazione dello spazio), ma sempre da spettatori, preferendo invece la propria dimensione intima e privata.
 La narrazione intreccia le brevi sequenze nel presente a numerosi e corposi flashback di diverse epoche, il che porta a due risultati pregevoli per i quali la pellicola ha giustamente vinto vari premi: il trucco che invecchia (o ringiovanisce) i personaggi in modo strabiliante, e il montaggio, che offre anche alcuni fascinosi momenti sperimentali (la ricostruzione dell'incidente di Parigi, i filmati d'epoca dell'uomo colpito dal fulmine).
 E' da consigliare l'ascolto in lingua originale, fosse solo per il fascino dell'accento del Sud degli Stati Uniti sfoggiato due protagonisti (quello che avrebbe il personaggio di Rogue degli X-Men se la sentissimo parlare).
 Coerentemente con l'ampio respiro storico di regia e narrazione, la colonna sonora del francese Alexandre Desplat è altrettanto grandiosa e orchestrale, ma nello stesso tempo misurata, molto più attenta ad accompagnare ed evocare le sequenze storiche piuttosto che a diventare protagonista.

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