mercoledì 25 dicembre 2019

"All Good Things" (2010) - "Love & Secrets"

 "All Good Things" (2010), in Italia "Love & Secrets", diretto da Andrew Jarecki e scritto da Marcus Hinchey, è un dramma criminale basato sulla vita dell'ereditiero Robert Alan Durst, che tra il 1980 e il 2001 si sarebbe macchiato di tre omicidi.

Scheda di "All Good Things" su wikipedia.

 Con Ryan Gosling e Kirsten Dunst a interpretare con bravura i protagonisti, il film inizia promettendo di essere uno psicodramma di qualità: la romantica storia che sboccia tra il ricco ereditiero e la popolana intelligente e studiosa, infatti, mostra venature inquietanti ancor prima di avere inizio; lei, troppo innamorata, non se ne accorge, ma lo spettatore nota immediatamente che lui nasconde una facciata da psicopatico. Col progredire degli eventi, gli indizi aumentano, la tensione cresce, e infine lei si ritrova in trappola, sposata a un rampollo ricchissimo e imprevedibilmente brutale, da cui non può divorziare senza restare povera in canna (la potente famiglia simil-mafiosa di lui gli dà accesso a un vitalizio, ma non gli ha intestato nulla).
 Il regista costruisce il mistero con tre piani narrativi temporalmente sfasati, anticipando così allo spettatore alcunio elementi che acquisiscono significato solo nella seconda parte del film, tra cui un enigmatico travestito che trascina sacchi neri da gettare in un fiume di notte: a non sapere che il film racconta fatti realmente accaduti, lo spettatore ipotizza immediatamente una citazione di "Psyco", e partendo da una premessa sbagliata, ci azzecca.
 Ryan Gosling è abile e convincente nell'interpretare l'indecifrabile ereditiero col suo fardello di un trauma psicologico infantile (vide la madre buttarsi dal tetto di casa, e andò a scuotere il cadavere per tentare di svegliarla) che lo rende disfunzionale nei momenti in cui la sua viziatissima vita incappa in qualche marginale difficoltà che per lui è inconcepibile, e soprattutto riesce a trasmettere il senso di furiosa violenza repressa che imperversa nella mente del suo personaggio, senza mai esplicitarla, dando letteralmente vita alla tensione che permea persino le scene più tranquille della prima parte del film. Kirsten Dunst è altrettanto brava nel delineare il suo commovente personaggio di donna innamorata e piena di sogni, che li vede spegnersi uno a uno, o che permette che siano calpestati nell'inutile tentativo di realizzare almeno quelli più importanti, mentre il cappio le si stringe intorno al collo e la disperazione inespressa cresce.
 Intrigante è anche la ricostruzione della scena newyorkese benestante degli anni 1970 e 1980, dalla moda al divertimento alla dissolutezza, nonchè degli intrecci tra potere economico e politico.
 Purtroppo (o forse no?), il regista deve anche fare attenzione a raccontare la vicenda senza rischiare una causa legale, in quanto Robert Alan Durst è ancora vivo, e sceglie quindi di non mostrare mai le scene di violenza dei crimini di cui Durst è accusato, tranne l'unico caso in cui Durst è stato effettivamente incriminato: solo in questa e in un'altra scena minore, il regista prende nettamente posizione nell'accusare Durst di essere un bugiardo e di aver ucciso scientemente, organizzando le cose per sviare le indagini. Molto più chiaro è invece nel raffigurare l'influenza esercitata dal denaro della famiglia di Durst su senatori e procuratori, che insabbiarono le indagini su Durst.
 L'esigenza di attenersi a un certo rigore cronachistico è ciò che impedisce al regista di indagare a fondo sulla personalità e le ragioni del protagonista, che alla fine risulta dipinto come un essere bipolare, in cui coesistono una gelida spietatezza criminale e una emotività infantile che scaturisce dall'incapace di controllare l'emersione del proprio io violento.
 Ma a mancare maggiormente è il culmine catartico che una storia di fantasia avrebbe obbligatoriamente richiesto: non necessariamente la punizione del malvagio di turno, ma un liberatorio momento di appagante rivelazione e illuminazione che metta a nudo i mostri del suo inconscio, anche dopo aver sancito la sua vittoria.
 E' invece all'insegna dell'ambiguità, nel non mostrare mai nulla di incriminante e di legalmente attaccabile,  che il regista riannoda tutti i fili della trama nel finale, facendoci capire quale sia la sua opinione sul personaggio, ma esitando un po' troppo nell'esplicitarla. Da qui deriva la generale delusione che dà il film, che non solo non riesce a proporre nulla di nuovo in termini di invenzioni narrative e analisi dei personaggi, ma col suo finale rinuncia anche a elargire una conclusione che sia, se non altro, in linea con gli elementi utilizzati a piene mani nella storia, e ormai relegati dallo spettatore al ruolo di stereotipi.

 Curiosamente, proprio questo film finì per condurre alla punizione di Dunst nella vita reale, dandoci quell'epilogo di trionfo della giustizia che molti spettatori avrebbero auspicato: in seguito all'uscita del film, il regista vinse l'ostilità di Durst tanto da riuscire a intervistarlo e produrre su di lui una miniserie, "Jinx" (2015), al termine della quale Durst si fece inconsapevolmente registrare dal proprio microfono (parlando da solo in bagno) mentre borbottava di averli uccisi tutti e tre.

 Il rigore cronachistico compare anche nella regia, volutamente fredda e meccanica, nel seguire i personaggi senza volerli raccontare; fanno eccezione le sequenze iniziali e finali, ricche di scene provenienti da (finti) filmati amatoriali che rappresentano l'innocenza perduta della giovinezza del protagonista.

 In Italia, il titolo non è stato tradotto, ma adattato, in un banalissimo "amore e segreti", scritto però in inglese: il perfetto epitaffio di una popolazione che rincorre affannosamente la terminologia inglese riempiendosene la bocca a ogni occasione, senza però averla studiata nè essere in grado di capirla al di là delle parole più semplici.
 "All Good Things"  è il nome del negozio naturista che il protagonista apre insieme alla moglie, all'insegna di un ingenuo romanticismo che rappresenta la sua componente psicologica non sviluppata, perchè bloccata dal trauma.
 E' anche un simbolo del suo desiderio di una vita semplice, lontana dagli intrighi e giochi di potere dell'impero familiare, il quale rappresenta la vita adulta da lui aborrita (proprio come aborrisce che la moglie voglia avere figli, studiare e laurearsi, agire di testa propria, parlare di se stessa).
 "All good things" è anche parte del detto che si completa con "come to an end", ed è uno degli indizi che mettono in guardia lo spettatore a inizio film.

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