mercoledì 27 novembre 2019

"World War Z" (2013)

 "World War Z" (2013), diretto da Mark Foster e basato sul romanzo di Max Brooks, è un film che mescola orrore, fantascienza, dramma, brivido e azione, e ha conseguito un notevole successo di critica e pubblico, grazie all'astuta formula commerciale con cui addomestica l'anarchico e deprimente mito degli zombi, riscrivendolo in un'amichevole chiave avventurosa da videogioco, molto compatibile con l'intrattenimento per famiglie.

Scheda di "World War Z" su wikipedia

 La fattura tecnica del film, professionale e curata nella regia, nella fotografia, nella recitazione, nelle tese musiche orchestrali ed elettroniche di Mark Beltrami, negli effetti speciali usati con sobrietà, nelle grandiose scene di massa, è un biglietto da visita che si accompagna a una narrazione scattante, dove l'azione si sviluppa quasi senza sosta, la suspense è sempre elevata (oppure compare di colpo per annientare i pochi momenti di tregua, che lo spettatore aveva accolto con gioia, invece che annoiarsi), i dialoghi sono di accurata chiarezza, la caratterizzazione è convenzionalmente solida, e soprattutto c'è un senso di partecipazione e immedesimazione che solo la caccia agli "indizi" (in questo caso, atti a capire come fermare l'epidemia) a fianco del protagonista può fornire.

 E' su questo versante che si cela sicuramente uno dei fattori che hanno decretato il successo del film: la sua impostazione palesemente consolatoria, dichiarata sin dal momento in cui Brad Pitt si presenta come protagonista della pellicola. Lo spettatore si sente fortemente rassicurato dal fatto che, per quanto la situazione si faccia sempre più tetra e disperata, l'eroe troverà sicuramente un rimedio l'epidemia degli zombi, non importa da quanti "porti sicuri" debba fuggire rovinosamente dopo che le loro protezioni si sono sfasciate.
 Come in un videogioco di qualità, lo spettatore se la gode un mondo, a saltare da uno scenario di orrore all'altro che sembrano proprio tratti dalle schermate di un'avventura virtuale (Philadelpia, un grattacielo di Newark, una base militare nella Corea del Sud, l'Israele fortificata, l'aereo di linea bielorusso, il centro di ricerca britannico), sapendo che per quanto ogni volta le cose vadano immancabilmente a rotoli sotto l'ondata inarrestabile di morti viventi, il protagonista riuscirà fortunosamente e intelligentemente a uscirne rocambolescamente vivo per il rotto della cuffia, acquisendo ogni volta un nuovo tassello del puzzle che deve ricomporre.

 Tutto quanto è da manuale, negli sviluppi della trama, studiata a tavolino per dare allo spettatore proprio ciò che desidera, in termini di intrattenimento, brivido e trovate risolutorie che lo fanno sentire così simile all'eroe sullo schermo. E' una narrazione gratificante, che solletica l'ego di ognuno di noi, raccontandoci l'illusoria fiaba della certezza di riuscire sempre a spuntarla e a sopravvivere contro qualunque avversità. Che differenza con la terrificante e cupa disperazione senza sbocco delle invasioni di zombi dei film di George Romero, dove l'aspra satira politica è seguita dall'annientamento senza speranza dell'umanità (e dei protagonisti), completamente priva delle capacità e delle risorse per contrastare l'invasione dei morti viventi.

 La visione scientifica della natura dell'epidemia (un misto di rabbia e influenza aviaria che fa il balzo da animali a uomini) contribuisce ulteriormente a confortare lo spettatore, eliminando il deprimente tono di incontrollabilità e incomprensibilità dell'origine soprannaturale degli zombi di Romero ("quando non c'è più spazio all'inferno... i morti camminano sulla Terra"): se è un virus o un'altra forma di infezione, infatti, ci deve essere un modo per fermarlo. Se è opera della natura, può essere compreso, e anche ingannato.

 Neutralizzata quindi la componente orrorifica del concetto di zombi, quella di natura psicologica e metaforica, perchè troppo angosciante e quindi indigesta al pubblico pagante e agli interessi di botteghino, ciò che resta è il puro intrattenimento spensierato, capace comunque di proporre molti momenti di genuina inquietudine per le situazioni disperate che si accavallano e si risolvono secondo uno schema ricorrente.
 Particolarmente memorabile è la rampa di corpi che gli zombi creano per scavalcare le (biblicamente simboliche) mura dell'Israele fortificata, dopo essere stati innescati dall'idiozia del gruppo di zeloti religiosi oltre le mura, i quali sentendosi al sicuro pensano bene di intonare un inutile e fragoroso inno religioso, con tanto di megafoni ad amplificare il suono, e questo nonostante sia chiaro a tutti che gli zombi trovano le loro prede seguendo anche il minimo suono con una determinazione e una pervicacia inarrestabili.

 La prospettiva globale della narrazione, oltre alle sfaccettature geopolitiche (notevole l'idea di come la Corea del Nord ferma l'epidemia con una operazione odontoiatrica di massa), esercita un fascino considerevole, e i consistenti fondi consentono di dare vita a numerose, esaltanti scene di massa ambientate in città di diversi continenti, invase da maree letterali di zombi, visualizzando il classico e sempre apprezzato elemento della fragilità su cui si basa la nostra "civiltà", la cui struttura frana istantaneamente sotto la spinta di una simile emergenza. Paradossalmente, anche questa visione ampia del fenomeno contraddice la soffocante claustrofobia dei film a basso costo di Romero, che si concentra su poche ambientazioni e tiene i personaggi all'oscuro della situazione mondiale, generando così un effetto di sconfortante e opprimente claustrofobia, assai difficile da metabolizzare se si desidera solo intrattenimento spensierato.
 Tra le situazioni da videogioco, quella finale e risolutoria dell'irruzione nell'ala infestata di un centro di ricerca britannico è sicuramente la più scoperta e dichiarata, coi suoi corridoi labirintici, gli zombi che spuntano ovunque, le trovate per distrarli e gli scontri "singoli".
 Come tutto il resto della pellicola, anche il finale si dimostra prevedibile, ma nello stesso tempo desiderabile: non c'è un solo spettatore che non lo abbia intuito e che non segua la vicenda con l'aspettativa di vederlo messo in pratica.
 Le caratterizzazioni da manuale dei personaggi sono l'ulteriore carta vicente del film: eroici guerrieri capaci di altruismo nel nome del bene comune, oppure freddi calcolatori che devono sacrificare le persone e le emozioni sull'altare della sopravvivenza del genere umano, tutti quanti sono però descritti come persone decenti, degne di rispetto e forse anche di ammirazione per la loro fortezza di spirito nel fronteggiare una crisi colossale, e per la competenza e capacità di agire sempre e comunque nel nome dell'umanità, e non per i propri meschini interessi personali (al contrario di ciò che accadrebbe nella realtà, e ancora una volta, si torna alla consolazione dello spettatore con una narrazione generosamente bugiarda).

 Dopo la visione del film, a riconferma della perizia tecnica con cui è stato confezionato, nello spettatore che si alza e si allontana dallo schermo resta impressa ancora a lungo nella mente la sensazione di dover incappare in uno zombi a ogni svolta del corridoio: è il risultato dell'ottima resa visiva degli zombi (in realtà persone infette), dei gemiti che emettono, dei loro movimenti innaturali, della ferocia frenetica con cui progredisce l'infezione nelle persone che vengono morse, dell'ossessività con cui gli zombi si scagliano contro ogni ostacolo o anche nel vuoto pur di agguantare altri esseri umani. E' un orrore di grande realismo, ma nello stesso tempo anche "ripulito" e algido, nettamente omologato per non causare quel livello di repulsione che è tipico dei film di Romero e dei suoi emuli e che finisce per allontanare una certa fetta di pubblico non appassionato.






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