domenica 3 novembre 2019

'71 (2014)

 '71 (2014), diretto e concepito da Yan Demange con sceneggiatura di Gregory Burke, è un film di guerra ambientato a Belfast, nel 1971, durante il cosiddetto Conflitto Nordirlandese.

 Separato dal proprio plotone durante un'operazione di assistenza alla Polizia nei quartieri dei Cattolici Indipendentisti di Belfast, un giovane soldato inglese viene aggredito dalla folla, e deve poi sopravvivere a una lunga notte di violenza e inganni, durante la quale deve fare i conti anche con le inconfessabili connivenze tra le forze in campo. Gli assassini della Provisional IRA (Irish Republican Army) lo braccano, mentre la britannica MRF (Military Reaction Force) vorrebbe recuperarlo e riportarlo a casa, ma nello stesso tempo deve occultare i propri metodi brutali con cui manipola il conflitto. Sulla strada, civili di entrambe le fazioni cercano di aiutarlo, ma finiscono per pagare tragicamente le loro scelte.

 Eufemisticamente chiamato "the troubles" (i disordini), il conflitto nordirlandese è stato invece una guerra civile che ha insanguinato l'Ulster per alcuni anni, vedendo contrapporsi i cattolici (che volevano riunirsi all'Irlanda) e i protestanti (invece fedeli al Regno Unito). Pur essendo l'ultimo di una lista di autori che se ne sono occupati, il regista Demange lo racconta a modo suo, con una compassata e analitica narrazione a più livelli, che ruotano tutti intorno al simbolico giovane soldato in fuga che viene travolto dalla mostruosità scatenata dai suoi simili.
 Con un tono aspro e duro, ma anche asettico come un documentario storico, il film illustra le dinamiche della guerra civile dell'Ulster, senza mai schierarsi, tenendosi lontano dalle ideologie, descrivendo con agghiacciante schiettezza i crudi fatti, ma soprattutto l'abietto cinismo e il cieco fanatismo ipocrita che animano i capi e gli attivisti di entrambi gli schieramenti.
 Con una cinepresa a mano che insegue il protagonista e si agita forsennatamente, e con una sceneggiatura incalzante che non si ferma neppure davanti alle scene più allucinanti, il film è una vicenda di tensione e azione,  intrisa di un realismo brutale e sporco, con inseguimenti (a piedi), sparatorie, tranelli, bombe artigianali che esplodono quando non devono, e soprattutto personaggi che incarnano le persone comuni; quelle che, nella violenza, restano ferite, sanguinano, soffrono e arrancano.
 Con un'accortezza da esperto tessitore di trame politiche, il film delinea progressivamente, soprattutto in maniera visiva, il divario tra i puri e ingenui (come il tenente Armitage dell'esercito, o l'ufficiale anziano Boyle dell'OIRA) e gli sprezzanti pragmatici che detengono il vero potere (Browning della RMF, e Quinn della PIRA) a costo della morte dei loro stessi seguaci.
 Con una narrazione compatta e solida come le case popolari del quartiere cattolico di Belfast, spesso abbandonate e degradate, ma capaci anche di svelare ambienti interni in cui qualcuno si impegna inutilmente per conservare una traccia di decenza e di umanità, il film trova sempre i momenti giusti per soffermarsi a indagare sulla personalità del protagonista (come quando il soldato si ferma a osservare in silenzio la brutalità della RUC, la polizia protestante, su donne inermi) o a esporre le amare conclusioni personali del regista (l'ex medico militare irlandese che ricuce le ferite del soldato gli spiega che a nessuna delle organizzazioni militari in lotta importa alcunchè della vita dei giovani che manda in campo a combattere, e tanto meno del loro futuro).
 Ed è quest'ultima osservazione la chiave di lettura dell'interno film che riprende e unifica tutte le precedenti, trasformandole in strumenti per giungere a una disincantata e sconsolata analisi della storia umana.
 L'idealismo (incarnato dal fallimentare tenente britannico Armitage) sulla lunga distanza è sempre destinato a fallire.
 Qualche idealista potrà di tanto in tanto ottenere un qualche posto di rilievo, ma sarà sempre una "preda", e finirà per essere stritolato dall'altra categoria umana, i "predatori", cioè gli psicopatici, incapaci di empatia, per i quali contano solo l'appagamento personale, e le cui caratteristiche li porranno sempre in cima alla catena di comando, perpetrando in eterno il ciclo di sfruttamento e sofferenza dei loro simili (ma sono davvero "simili"?).
 Chi nella vita esita ad approfittarsi degli altri, in nome dell'umanità (il "terrorista" della PIRA, Bannon, che per due volte non se la sente di sparare al soldato, e finisce quindi ammazzato da un poliziotto britannico), è destinato a essere sbranato dai suoi stessi simili.
 In guerra, non c'è mai un'ideologia "buona", ma solo interessi contrapposti che manipolano le masse, spingendole a immolarsi in una lotta dove a vincere è il profitto dei potenti.
 Credere di poter cambiare il mondo, o di poter migliorare la vita a qualcuno impegnandosi pubblicamente, è un'illusione; per l'uomo, c'è consolazione e salvezza solo nei propri affetti privati.

 La fattura tecnica del film è coerente con gli obiettivi della narrazione, cui contribuisce con un'ammirevole compattezza di visione e intenti: l'immagine mossa e sporca; la fotografia a volte sgranata come quella degli anni 1970; le architetture desolate e ottusamente brutte dei quartieri popolari di Belfast; la ricostruzione credibile di abbigliamento, accessori e persino la moda dei tagli di capelli di quel periodo; il sonoro aspro; i dialoghi scabri come schegge di vetro; le musiche scarne, opprimenti, più simili a suoni di guerra o di battiti cardiaci che a musica.

 A contribuire al tono verista e spietato del film c'è anche la scelta degli attori, che rafforzano l'impressione costante di assistere a un documentario incentrato su persone reali: sono tutti quanti di solido talento, ma nello stesso tempo sconosciuti, o quasi; e in particolare, alcuni sono considerevolmente e realisticamente brutti, come vuole lo stereotipo sugli abitanti del Regno Unito.
 Barry Keoghan, che interpreta il giovane assassino recalcitrante, compare curiosamente in ruoli simili nel film "Dunnkirk" e nella miniserie tv "Chernobyl",  accomunati a questo film per il tema della ricostruzione della storia recente e il tono sobriamente amaro con cui raccontano le vicende di persone che fanno del loro meglio per essere decenti e sopravvivere. 
 Jack O'Connell, che interpreta il protagonista, è probabilmente il personaggio principale con meno battute del film, e quindi affronta (con notevole successo) l'immane compito di raccontare col solo silenzio lo spaesamento, la paura, la sofferenza, la disperazione, la determinazione e l'umanità del giovane soldato in fuga a Belfast (curiosamente, O'Connel, di padre irlandese, interpreta un personaggio originario, come lui, del Derbyshire). L'intensità di O'Connell è la stessa con cui lo spettatore, man mano che si immerge nella trascinante narrazione, scopre e vive questa tetra parabola dell'esistenza, giungendo alle suddette conclusioni, comuni a tutta l'umanità.
 Nonostante il finale apparentemente positivo, la lucida e sobria amarezza del sincero pessimismo narrativo di questo film si imprime nella mente come sola verità del conflitto nordirlandese. Ma, soprattutto, dopo l'inevitabile riflessione che un film del genere è destinato a ispirare, essa si rivela essere la sola verità nel rapporto tra l'essere umano e la società in cui vive, ogni qualvolta emerga un conflitto di qualche natura. Non c'è speranza per nessuno?

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