martedì 25 febbraio 2020

The Aviator (2004)

 "The Aviator" (2004), diretto da Martin Scorsese e scritto da John Logan, è un dramma biografico sulla vita dell'imprenditore, regista, aviatore e produttore cinematografico Howard Hughes jr. (1905-1976).
 Tra gli anni 1920 e il 1947, segnato da una fobia per i germi probabilmente indotta da un'epidemia di colera verificatasi durante la sua infanzia, Howard Hughes usa l'enorme fortuna di famiglia per inseguire le proprie ossessioni aeronautiche e cinematografiche, mietendo successi e incassando sconfitte, mentre colleziona storie d'amore (più o meno vere) con grandi donne del cinema come Katharine Hepburn e Ava Gardner. Oltre al suo disturbo ossessivo-compulsivo, che cresce fino a sopraffarlo periodicamente, Hughes deve anche fare i conti con la devastazione del suo fisico causata da terribili incidenti di volo, durante il collaudo degli aerei che progetta.

 Con una regia, una narrazione e una fotografia di sicura garanzia, grazie al nome di Martin Scorsese, questo bizzarro film sceglie un'ottica narrativa ben precisa per raccontare la variegata lotta sociale e personale che Howard Hughes condusse sin da giovane, ed è questa decisione a determinare il gradimento dello spettatore, perchè Scorsese prende quasi sempre le parti dell'imprenditore contro il resto del mondo, sorvolando sugli aspetti più oscuri del personaggio (la sifilide che gli corrodeva la mente) e celebrando trionfalmente i suoi (oggettivamente notevoli) successi nell'ingegneria aeronautica e nelle battaglie politiche (lui stesso fu un corruttore, ma andò contro un Congresso che aveva la pretesa di volerlo colpire pur essendo a propria volta corrotto da altri imprenditori).
 Se quindi, nella pellicola, l'imprenditore brilla nel campo del cinema e dell'industria, e l'uomo sprofonda nel vortice di una psicosi declinata in modi atroci, è anche vero che il contesto in cui si muove (i favolosi anni 1920 e successivi), pur essendo mirabilmente ricostruito in ambientazione, costumi, musica e iconografia, risulta allo stesso tempo curiosamente falso, come una parodia stilizzata in cui tutti i comprimari sono figure quasi caricaturali che recitano in un'epoca fittizia e idealizzata (il personaggio di Errol Flynn è il più rappresentativo di questa categoria). Sembra quasi che Scorsese voglia affermare che Howard Hughes sia l'unico essere umano "vero" di quella vicenda, l'unico di cui valga la pena raccontare le vicissitudini di quei decenni, con due sole eccezioni nelle belle figure dell'affascinante ed eccentrica Katharine Hepburn e della volitiva e seducente Ava Gardner.
 Se però si sceglie l'interpretazione più negativa del senso dell'opera, e cioè quella della metafora critica del sogno americano, ecco che il film acquista un altro significato, come se Hughes fosse lo specchio della sua stessa nazione: negli USA, non solo è tutto finto, ma si trasforma progressivamente in un incubo, a prescindere dai grandi successi di chi ci vive.

 Sul versante degli attori,  se Cate Blanchett e Kate Beckinsale lasciano un segno con la loro elegante e incisiva interpretazione delle memorabili Katharine Hepburn e Ava Gardner (in particolare, Cate Blanchett merita di essere ascoltata in lingua originale), non si può dire altrettanto del protagonista Leonardo DiCaprio, che pure ci mette tutto se stesso nell'interpretare una figura complessa e problematica come Howard Hughes: forse è la voce stridula e da ragazzino di DiCaprio, che non gli riesce di camuffare tanto facilmente; forse è l'aspetto troppo patinato, anche quando dovrebbe "fare spavento" (come nella lunga sequenza in cui Hughes, in preda ala sua ossessione psicotica, si rinchiude nella propria villa, nudo, senza pià radersi, intento a collezionare urina in bottiglie), ma il personaggio di Hughes risulta riuscito solo a metà, e cioè nella componente dei dialoghi e dell'interpretazione, che però viene sminuita da una levigata estetica "da pupetto" che nessun trucco riesce a smorzare.
In parti più o meno secondarie compaiono anche nomi come la cantante Gwen Stefani (Jean Harlow), il versatile Jude Law (Errol Flynn), Alec Baldwin (l'imprenditore Juan Trippe), che svolgono con impegno il loro ruolo, probabilmente divertendosi nell'assecondare le ambizioni di Scorsese e nel fare da contorno al concentratissimo DiCaprio.

Con la sua durata di 170 minuti, il film potrebbe spaventare per la potenziale pesantezza narrativa, ma la sua narrazione-fiume ha la capacità di scorrere con l'arguta leggerezza della cronaca scandalistica (che è ovviamente fondamentale per un film biografico e voyeuristico), tenendo desta l'attenzione proprio sfruttando la curiosità dello spettatore per il pettegolezzo pruriginoso. E mentre così lo alletta, il film gli illustra subdolamente un intero tessuto sociale storico, dalla corruzione dell'industria a quella della politica, dalla vacuità del jet set statunitense alle storture del capitalismo, dagli anni 1920 alla Seconda Guerra Mondiale, dalle commistioni tra finanza e scandali agli inconfessabili giochi di potere che accompagnarono la nascita della globalizzazione.

 Il perverso e voyeuristico fascino che le sequenze dedicate agli apici psicotici di Hughes esercitano senza dubbio su chi ha i l gusto dell'orrido e del morboso, si amplifica a dismisura se lo spettatore è anche un appassionato della serie The Simpsons, e quindi si ricorda con entusiasmo dell'episodio 10 della stagione 5, $pringfield (Or, How I Learned to Stop Worrying and Love Legalized Gambling), nel quale il signor Burns si fa cogliere da megalomania imprenditoriale, costruendo un favoloso casinò, ma sviluppa una germofobia ossessiva e si dedica alla progettazione di aerei.
 E' sia esilarante che disturbante riconoscere elementi cruciali del film nelle scene animate interpretate da Burns. Il suo modellino si chiama "spruce goose", in italiano "elefante elegante", cioè "oca di legno", come era spregiativamente chiamato il colossale Hercules progettato da Hughes. Ci sono scatole di fazzoletti di carta ovunque, anche sui piedi del signor Burns, perchè coi fazzoletti usa-e-getta Hughes evitava il contatto coi germi. E quando finalmente Burns decide di gettare tutte quelle carabattole, Smithers gli chiede "E i campioni di urina?", e Burns risponde "Quelli li teniamo", in riferimento a come Hughes conservasse la propria urina in bottiglie del latte. Divertimento memorabile.


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