venerdì 10 dicembre 2021

"The Burrowers" (2008)

"The Burrowers" (2008)
, scritto e diretto da J. T. Petty, è lucido e duro film western dell'orrore, in cui il conflitto tra europei e nativi amerindi per la conquista dei territori dell'America del Nord assume un'agghiacciante e inedita dimensione, regalandoci una genuina tensione che genera tanto uno spavento immediato quanto un orrore psicoloico destinato a durare a lungo nella nostra mente.

 
Misteriosamente snobbato in Italia al punto di non comparire né sulla Wikipedia in lingua nostrana né su MyMovies.it, questo film è scritto e diretto con perizia e chiarezza di intenti, e brilla nel raccontare, con brutale e sanguinolenta schiettezza da cronaca documentaristica, la violenza degli orrori "normali" del conflitto tra europei e indiani d'america, per poi intrecciarla con una ferina realtà sotterranea altrettanto feroce e spietata. L'idea di fondo del film, infatti, è che l'arrivo degli europei (e degli africani) nelle Americhe abbia alterato l'equilibrio ecologico in maniera più radicale di quanto si sia mai creduto, spingendo certe oscure creature notturne a cercare nuove fonti di cibo (e cioè gli esseri umani), da sottoporre al loro spaventoso e prolungato trattamento per renderlo commestibile.
Come traspare da questa lettura, il regista e sceneggiatore critica apertamente l'invasione europea, ma questa è prassi comune, riscontrabile in qualunque prodotto narrativo moderno che tratti del "vecchio West": cio che invece ha valore per la sua rarità, in questo film, è il modo più sottile e cebrale della media con cui l'autore espone questa critica, non solo per la fulminante sinteticità di presentazione della tesi a narrazione ormai avanzata, ma per la sottigliezza di ricorrere agli atroci fatti, invece che alla noia delle filippiche affidate a nobili personaggi che condannano gli errori in questione. Con notevole equilibrio e imparzialità, l'autore mette sullo stesso piano le due fazioni umane in conflitto, mostrando le atrocità compiute da entrambe, e tracciando infine un parallelo con le azioni dei Burrower: come la regia sottolinea silenziosamente, soffermandosi sui dettagli della fauna, quello in corso è un conflitto per la sopravvivenza, in cui nessuno è migliore degli altri, e nel mondo animale la presunta superiorità etica o morale non esiste, se non come giustificazione/difesa assemblata a posteriori. Altre interessanti annotazioni arricchiscono la narrazione, e sono tutte gestite con la stessa tecnica di presentarle rapidamente per non tornarvi mai più sopra a reiterare il concetto: o lo spettatore è abbastanza sveglio da coglierle subito, o tanti saluti.
Altrettanto articolata e meditata, cosa assai rara nei dozzinali film dell'orrore del filone delle "creature assassine", è la biologia dei Burrower, il cui (sadico) processo nutritivo viene delineato con logica e agghiacciante lucidità, tanto che, alla conclusione del film, si resta con l'impressione che queste creature possano davvero essere esistite nel "Nuovo Mondo" e che siano state fortunatamente sterminate come i bufali, nonostante lo spiazzante e amaro finale in cui i "buoni" (cioè i personaggi per cui si riesce a provare simpatia, nonostante i loro difetti) vengono sconfitti o peggio.
A parte il finale non consolatorio (che ottusamente qualcuno ha scambiato per la minaccia di un seguito del film), il vantaggio della coincidenza tra regista e sceneggiatore garantisce una ibridazione efficace dei due generi, l'orrore e il western: gli stilemi di entrambi i filoni sono applicati con competenza, sotto tutti gli aspetti, dalle tipologie dei personaggi coinvolti (il giovane irlandese, il nero liberato, l'indiana coraggiosa, l'anziano e onesto allevatore, il ragazzino senza esperienza, il fanatico capitano dell'esercito, il mediatore indiano che sembra in gamba ma impazzisce) al progressivo sfoltimento degli stessi con parallelo disvelamento dell'orrore che si annida nelle praterie, dal ritmo lento e solenne della marcia diurna alla claustrofobia concitata delle scene di assalti notturni delle creature, dai panorami selvaggi dell'Ovest Americano (narrati con una ricercata fotografia) alle disperate lotte ravvicinate in cui gli umani quasi non hanno speranza, fino alla convergenza finale dei due generi sull'elemento che li accomuna, e cioè la violenza più atroce, di cui non ci vengono risparmiati i dettagli più trucidi, ma senza mai scadere nel compiacimento o nella morbosità.
Grazie al solido disegno dei personaggi e alla qualità meditata dei dialoghi, gli attori (tutti poco conosciuti) danno immancabilmente una buona e convincente prestazione, avvantaggiata dalla ridotta esigenza di interagire con gli effetti speciali. La produzione canadese-statunitense di questo film infatti non è tra le più ricche, e usa la componente digitale con parsimonia, ma anche con notevole criterio: le scene più terrificanti, grazie all'intelligente scrittura di un autore che sa cos'è l'orrore genuino, sono tutte prive di effetti speciali (come la sequenza della ragazza sepolta che è ancora viva, ma paralizzata, senza che nessuno capisca il significato dell'unico movimento che riesce a compiere).

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